Nonostante le 3.028 firme raccolte, ad oggi, a sostegno dell’Appello di giuristi contro le misure di sorveglianza speciale inflitte a Maria Edgarda Marcucci, il Tribunale di Torino ha confermato la sorveglianza speciale. Ecco il comunicato stampa pubblicato dai Comitati torinesi in sostegno all’Amministrazione autonoma della Siria del nord-est.
Il Tribunale di Torino ha confermato l’applicazione della Sorveglianza speciale a Eddi senza alcuna attenuazione.
Il Tribunale non ha rispetto per le cadute e i caduti nei cinque anni di guerra contro lo Stato islamico in Siria e per l’esercito delle Unità di protezione delle donne curde (Ypj) di cui Eddi ha fatto parte e cui la città di Torino ha pochi giorni fa dedicato un giardino di fronte al Cimitero monumentale. È a causa di quella scelta, maturata in Siria nel 2017, che Eddi (inizialmente con altre quattro persone) è stata proposta per questa misura. Unica donna, è l’unica cui la misura sia stata applicata e confermata.
Questa decisione arriva contro un’ampia mobilitazione civile, espressione pubblica di numerose opinioni anche giuridiche in dissenso, appelli di centinaia di giuristi e personalità della cultura, opere, libri e documentari dedicati a Eddi e alla sua vicenda. Getta vergogna sull’istituzione, dimostrando che il suo personale non ha la caratura morale per formulare giudizi su vicende che comportano la morte o la sofferenza di milioni di persone.
Questo giudice, come quello precedente, cerca proprio per questo di lateralizzare la vicenda siriana di Eddi pretendendo che essa, che pure è conditio sine qua non dell’intera iniziativa giudiziaria, abbia ceduto il passo a ben più gravi attività politiche svolte in Italia. La procura aveva affermato il 12 novembre che l’attivismo politico di Eddi è inseparabile dalla sua partecipazione siriana. Questo è vero: non si ha una “Eddi” senza l’altra. L’ipocrisia istituzionale dell’Europa deve venire a patti con sé stessa. Eddi è un’internazionalista e una femminista e per questo è partita per la Siria, cosa che non hanno fatto altri. Ma proprio questo è ciò che il tribunale di Torino non può accettare.
Di qui la criminalizzazione indecente di attività nobili e pacifiche svolte in Italia, che denuncia un’ostilità ideologica preoccupante da parte di un Tribunale, la cui politicizzazione in seguito vicenda del Tav è ormai tema di dibattito sulla stampa nazionale e nello stesso parlamento italiano.
Le manifestazioni universitarie, ambientaliste, per i diritti sul lavoro e contro l’invasione turco-jihadista del Rojava sono definite «pericolose» e «gravissime». Sono sfide «all’autorità» poste in essere in luoghi pubblico, e tanto basta. Nessuna sentenza definitiva ha mai addossato a Eddi alcunché di illecito e non potendo fare leva su sentenze, il tribunale si fonda su «segnalazioni» di singoli poliziotti. Il collegio ha rivendica nel decreto nero su bianco la potestà della sezione preventiva del tribunale di utilizzare notizie di polizia non entrate in processi penali, elementi desunti da processi ancora in corso e persino da procedimenti che si siano conclusi con un’assoluzione. Avoca in sostanza a sé il diritto di giudicare al di fuori delle garanzie previste per uno stato di diritto e secondo criteri di assoluta eccezionalità; quindi, nei fatti, con piena arbitrarietà.
La denuncia della difesa della mortificazione del contraddittorio in primo grado, con l’espunzione di testimoni e il rifiuto del primo giudice di permettere l’interrogatorio dei poliziotti, è stata liquidata con toni sprezzanti nei confronti della difesa. Il decreto parla di “reati” sebbene non ve ne siano e, ammette in modo inquietante, Eddi è soltanto “formalmente” incensurata, Che cosa significa? Forse per il tribunale di Torino il cittadino non è presunto innocente se non “formalmente”? I principi costituzionali o del diritto internazionale umanitario non valgono a Torino nella sostanza? Affermazioni scandalose discendono da questa concezione poliziesca della giustizia, e devono essere denunciate all’opinione pubblica.
«Non si vede come possa rilevare», scrive il collegio, che un agente Digos intervenuto a impedire a una serie di ragazze di assistere a un’assemblea accademica nel 2016 «abbia minacciato in una fase ancora concitata una delle presenti, diversa dalla Marcucci, di reagire con schiaffi» (p. 15). Le testimonianze oculari di cariche effettuate a freddo e senza ragione alla manifestazione del primo maggio (dove pure Eddi non ha usato alcuna violenza) sono come tali «inverosimili» poiché «non si può supporre» nelle forze dell’ordine schierate in piazza una «ingiustificata aggressività» (pp. 19-20). Se la carica parte, la carica è motivata.
Pur di far passare Eddi come una squilibrata il giudice si spinge ad affermare che il divieto di avvicinarsi a bar e locali pubblici tra le 18 e le 21 ogni giorno, prima di rientrare obbligatoriamente a casa, è dovuta alle probabili aggressioni che metterebbe in atto contro avventori «non in sintonia con i suoi orientamenti» (p. 23). Questa illazione non è suffragata da nulla se non dal decreto stesso, né da segnalazioni di polizia. Come indizio dell’attitudine intrinsecamente violenta di Eddi si cita la sua opposizione, nel 2016, a una manifestazione neo-fascista all’università. Essa avrebbe dimostrato la sua incapacità a tollerare «il libero confronto delle idee». Un nesso ispirato forse dalle fatiche letterarie di Bruno Vespa.
La proibizione più grave, e maggiormente contraria ai diritti umani e costituzionali – quella di manifestare e anche parlare in pubblico – viene giustificata in base a questi «paradigmi di pericolosità soggettiva». Eddi potrebbe, in altre parole, esercitare violenza anche in quelle circostanze. Stiamo parlando dell’uditorio di una sua conferenza. Chiunque può farsi da sé un’opinione di simili affermazioni e della loro natura. Se qualcuno ancora avesse dubbi su cosa è oggi il tribunale di Torino, si consideri la provocazione conclusiva del decreto. Eddi ha chiesto che le venga restituita almeno in parte la somma di 1.000 euro che ha dovuto versare allo stato come “cauzione” per essere sorvegliata, facendo presente che, per una lavoratrice della ristorazione, questo non è un periodo facile; e che chi è sottoposto a sorveglianza speciale perde automaticamente il diritto a qualsiasi sussidio corrisposto dallo stato. Il collegio risponde a p. 24: «Tra il 2018 e il 2019 la proposta ha affrontato le spese di un lungo viaggio in zona di belligeranza, per poi rientrare per via aerea, così palesando capacità reddituale non minimale».
Comitati torinesi in sostegno all’Amministrazione autonoma della Siria del nord-est