Alberto Lucarelli in conversazione con Caroline von der Tann –

Un tardo pomeriggio invernale del gennaio 2005, in una Piazza dei Martiri scura e piovosa, si svolgeva a Napoli presso la sede dell’Unione industriali un seminario per discutere i nuovi modelli di gestione del servizio idrico. Avevo accettato l’invito in quanto da alcuni anni stavo studiando i temi relativi alla gestione dei servizi pubblici essenziali ed in particolare al rapporto pubblico – privato. In quegli anni infatti tutti pensavano che tali servizi dovessero essere privatizzati, messi sul mercato e dare profitto alle imprese private. In particolare si sosteneva che l’Italia si dovesse adeguare al principio della concorrenza ed alle liberalizzazioni imposte dal diritto Europeo. Io invece avevo cercato di dimostrare che il diritto europeo non imponeva le privatizzazioni, ma lasciava spazio ai singoli Stati. In quel seminario capii subito di trovarmi in un luogo nel quale gli imprenditori privati avevano fiutato il grande affare ovvero di avere in gestione monopolistica il servizio idrico. Mi resi conto che dietro le liberalizzazioni si nascondeva il desiderio di poter fare grande profitti sfruttando una risorsa naturale per eccellenza quale è l’acqua.

Una volta avuta la parola cominciai a sviluppare tecnicamente il mio discorso in una sala stracolma di imprenditori, avvocati, commercialisti ed ingegneri. Più procedevo nel mio discorso attraverso l’analisi di norme e sentenze, più mi rendevo conto che la platea cominciava ad agitarsi e a non mascherare un certo nervosismo. Tuttavia si manteneva l’aplomb dei luoghi ovattati tra specchi e moquette. Tutti ridicolmente in cravatta ad ascoltarmi. Ad un certo punto sentii in lontananza uno strano rimbombo “…bamba, …bamba, …bamba!”, tutto il pubblico cosi diligente ed educato cominciò ad agitarsi, guardando verso la porta d’ingresso. Il suono aumentava d’intensità e a questo punto riuscivo ad afferrare per intero la parola “Cochabamba, Cochabamba”; nello stesso momento, come felini agili e veloci, irruppe nella sala un gruppo di persone, capitanato da un signore con un berretto a forma di rubinetto. Dietro di lui una signora di fisico solido che mostrava uno striscione con su scritto “l’acqua è un bene comune e non si tocca”.

Intanto il suono Cochabamba era sempre più forte, io provai a continuare il mio discorso e quando arrivai a dire: “il Comune di Napoli può impedire la vendita ai privati e scegliere in autonomia di gestire l’acqua pubblica, magari anche con il coinvolgimento dei cittadini”, il gruppo, che ormai si era ben installato nella sala esclamò: “Il Professore Lucarelli è un grande, forza Professore Lucarelli!”. Io, che fino a quel momento mi ero sempre sentito un semplice studioso, mi ritrovai ad un tratto ad essere inneggiato da un gruppo di “facinorosi”. Il giorno dopo venni a conoscenza di chi fossero quei due personaggi che io avevo identificato con rubinetto e Cochabamba. Erano padre Alex Zanotelli, mitico missionario comboniano, paladino da sempre dei diritti dei più deboli, ed ambientalista convinto, e Consiglia Salvio, presidente del comitato napoletano acqua bene comune. Appresi anche che Cochabamba era la città boliviana simbolo della lotta contro le multinazionali. Da quel momento la mia vita cambiò.

In un lampo, da rigoroso e serio professore di diritto costituzionale mi ritrovai tra i leader di un movimento contro le privatizzazioni. Partecipai, quindi, alla raccolta delle firme per presentare in Parlamento un disegno di legge ad iniziativa popolare che raccolse oltre mezzo milione di firme nel 2006. Tuttavia questa iniziativa popolare finì nel nulla in quanto il Parlamento non ne diede alcun seguito politico. Ciò nonostante, grazie al lavoro svolto nella Commissione Rodotà (incaricata dal governo Prodi di riformare il codice civile del 1942, armonizzandolo alla costituzione del 1948), insieme ad altri giuristi fui incaricato dal Comitato nazionale Acqua Bene Comune di scrivere i quesiti referendari per abrogare una legge che nel frattempo in Italia aveva introdotto le privatizzazioni forzate per l’acqua. I cittadini improvvisamente si trovavano ad essere utenti, piuttosto che del Comune, di grandi multinazionali, che gestivano l’acqua come un qualsiasi bene commerciale, con l’obiettivo di fare profitti e di farli nel minor tempo possibile. Le bollette aumentavano e il servizio peggiorava. Una volta scritti i quesiti referendari ci fu una mobilitazione popolare di proporzioni inaudite. Furono velocemente raccolte un milione di firme, che testimoniavano come i cittadini non volessero finire nelle mani voraci delle multinazionali.

Io finalmente riuscii a dimostrare, e a convincere anche la Corte costituzionale (che doveva dichiarare l’ammissibilità del referendum), che il diritto Europeo non imponeva le privatizzazioni, ma era volontà del singolo Stato. Insomma mi ricordai quel piovoso pomeriggio di gennaio quando proprio sostenendo questa tesi mi trasformai in una specie di capo popolo a mia insaputa.

Ma veniamo al giugno del 2011, mese in cui i cittadini furono chiamati al voto per esprimersi in merito all’abrogazione, o meno, della legge sulle privatizzazioni. Successe un fatto incredibile, capitato soltanto nel 1974 in occasione del referendum sul divorzio: 27 milioni di cittadini votarono contro le privatizzazioni, e in maniera chiara chiusero le porte alla gestione privatistica delle multinazionali.

Lo stesso giorno, ovvero il 13 giugno del 2011, dopo essere stato eletto Consigliere del Comune di Napoli, fui nominato Assessore ai Beni Comuni e all’Acqua Pubblica. Il 16 giugno, ovvero 3 giorni dopo, feci già deliberare dalla Giunta la volontà di trasformare a Napoli la società per azioni ARIN, che gestiva l’acqua, in un’azienda speciale denominata ABC, Acqua Bene Comune. Il processo di trasformazione si concluse qualche mese dopo e Napoli fu la prima città ad attuare il referendum. Questo successo va ancora oggi difeso, in quanto al livello nazionale il Parlamento non è ancora riuscito ad approvare una legge sull’acqua bene comune.

Il modello ABC rappresenta oggi un modello di studio non soltanto a livello nazionale, ma anche europeo. Esso prevede un consiglio di amministrazione nel quale sono rappresentati anche cittadini ed associazioni ambientaliste. Inoltre è previsto anche una specie di parlamentino dell’acqua composto dai cittadini. Insomma Cochabamba e Napoli, si erano alla fine abbracciati e stretti la mano. Quel percorso iniziato nell’Unione industriali si era concluso tra i cittadini.

QUI PER APRIRE IL PDF:
https://generazionifuture.org/wp-content/uploads/Da-Cochabamba-a-Napoli.pdf

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  1. Nicola malpede 18 Luglio 2022 at 18:20 - Reply

    Memorabile periodo, grande tensione ideale e coinvolgimento dei migliori professionisti che si impegnarono per rendere la trasformazione di una spa in azienda speciale , scelta senza precedenti ma giuridicamente ineccepibile!

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