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Riportiamo di seguito la trascrizione dell’ intervento del professor Giorgio Agamben durante il convegno “LE POLITICHE PANDEMICHE”, 10 novembre Torino

Vorrei fissare alcuni punti per cercare di definire  la trasformazione surrettizia, ma non per questo meno radicale, che sta avvenendo nell’ordinamento giuridico-politico in cui viviamo. 

Un primo punto concerne lo stato di emergenza. Quasi vent’anni fa, in un libro che cercava di fornire una teoria dello stato di eccezione, avevo costatato che lo stato di eccezione stava  diventando  il sistema normale di governo. Vorrei aggiungere qualche considerazione a quelle che avevo allora svolto, alla luce della prassi governamentale della cosiddetta emergenza sanitaria. Come sapete, lo stato di eccezione è uno spazio di sospensione della legge, quindi uno spazio anomico, che si pretende però incluso nell’ordinamento giuridico. 

Avevo allora definito questa situazione   come una separazione della forza-di-legge dalla legge in senso formale. Lo stato di eccezione definisce, cioè,  uno “stato della legge” in cui da una parte la legge teoricamente vige, ma non ha forza, non si applica, e dall’altra provvedimenti e misure che non hanno valore di legge, ne acquistano la forza. Si potrebbe dire che, al limite, la posta in gioco nello stato di eccezione è una forza-di-legge fluttuante senza la legge. Comunque si definisca questa situazione – sia che  si considera lo stato di eccezione come interno o che lo si qualifichi invece come  esterno all’ordine giuridico-  in ogni caso essa si traduce in una sorta di eclissi  della legge, in cui, come  in un’ eclissi astronomica, essa permane, ma non emana più la sua luce. 

Se poi, come avviene oggi, lo stato di eccezione diventa la regola, l’eclissi della legge è tanto più visibile e dà luogo a un’abolizione di quel principio fondamentale del nostro diritto che è la certezza della legge. Una legge  che può essere continuamente sospesa e separata dalla sua forza è una legge incerta e una legge incerta non è più una legge. Giuliano Scarselli ha definito molto bene questa situazione come si presenta oggi. Cito le sue parole:

 “Se lo Stato, invece di dare disciplina normativa ad un fenomeno, interviene grazie all’emergenza, sul quel fenomeno ogni 15 giorni o ogni  mese, quel fenomeno non risponde più ad un principio di legalità, poiché il principio di legalità consiste nel fatto che lo Stato dà la legge e i cittadini confidano su quella legge e sulla sua stabilità”. Viene cioè meno quella che si chiama  certezza del diritto, che è la condizione perché  i cittadini possano  organizzare la propria vita in modo certo. “Se lo Stato, viceversa, altera la normativa in ogni momento, e soprattutto dà l’idea, o addirittura afferma, che quel fenomeno può esser oggetto sempre di nuovi interventi e/o modificazioni, a quel punto quel fenomeno non può più dirsi regolato dalla legge, perché di fatto è invece rimesso alla libertà del potere pubblico, che si attribuisce il diritto di cambiare le regole in ogni momento”.

Questa cancellazione della certezza del diritto è il primo fatto che vorrei sottoporre alla vostra attenzione, perché esso implica una mutazione radicale non solo del  nostro rapporto con l’ordine giuridico, ma nel nostro stesso modo di vivere. perché si tratta di vivere in uno stato di illegalità normalizzata.

 

Il secondo punto, connesso col precedente,  riguarda la sovranità. Voi sapete che, la sovranità è definita dalla decisione sull’eccezione. Secondo la celebre definizione di Carl Schmitt, sovrano è colui  che ha il potere di decidere lo stato di eccezione. Stato di eccezione e stato normale non possono coincidere e il sovrano, che si tiene insieme fuori e dentro l’ordine giuridico, garantisce con la sua decisione, necessariamente puntuale, la loro possibile convivenza. Ma quando  l’eccezione diventa la regola, il sovrano e la decisione perdono  il loro luogo e il semplice esercizio del potere occupa il posto che esse hanno lasciato vuoto.  Se la legittimità del sovrano si fondava sulla decisione sull’eccezione,  il sovrano agisce ora senza alcuna  legittimità.    

Una decisione incessante non è più, infatti,  una decisione e l’emergenza  che aveva condotto a un’ eclissi della legge, produce anche un’eclissi e uno sfumare della figura del sovrano, che lascia sempre più il campo, come vediamo oggi con chiarezza,  all’azione di  forze esterne all’ordine giuridico. Credo che il cosiddetto stato duale, attraverso il quale Ernst Fraenkel, in un libro del 1941 che bisognerebbe rileggere, ha cercato di spiegare lo stato nazista -che è tecnicamente uno stato in cui lo stato di eccezione non è stato mai revocato. Lo stato duale è uno stato in cui allo stato normativo (Normenstaat) si affianca uno stato discrezionale (Massnahmestaat, uno stato delle misure) e il governo degli uomini e delle cose è opera della loro ambigua collaborazione. Una frase di Fraenkel è significativa in questa prospettiva: “Per la sua salvezza il capitalismo tedesco necessitava non di uno stato unitario ma di un doppio Stato, arbitrario nella dimensione  politica e razionale in quella economica».

 

E’ nella discendenza  di questo stato duale che si deve situare un fenomeno  la cui importanza non potrebbe essere sottovalutata e che riguarda il mutamento della figura stessa dello Stato che sta avvenendo sotto i nostri occhi. Intendo riferirmi a quello che i politologi americani chiamano The administrative State, lo Stato amministrativo e che ha trovato nel libro recente di Sunstein e Vermeule la sua teorizzazione (C. Sunstein e A.Vermeule, Law and Leviathan, Redeeming the administrative State).  Si tratta di un modello di Stato in cui la governance, l’esercizio del governo  eccede la tradizionale ripartizione  dei poteri (legislativo, esecutivo, giudiziario) e agenzie non previste nella  costituzione esercitano in nome dell’amministrazione e  in modo discrezionale funzioni e poteri che spettavano ai tre soggetti  costituzionalmente competenti. Si tratta di un sorta di Leviatano puramente  amministrativo, che è supposto agire  nell’interesse della collettività, anche trasgredendo il dettato della legge e della costituzione, allo scopo di assicurare e guidare non la libera scelta dei cittadini, ma quella che Sunstein chiama la navigabilità -cioè in realtà la governabilità- delle loro  scelte. E’ quanto oggi sta avvenendo in maniera fin troppo evidente, quando vediamo che  il potere decisionale viene esercitato da commissioni e soggetti (i medici, gli economisti e  gli esperti) del tutto esterni ai poteri costituzionali. Assistiamo qui a quelle trasformazioni informali del testo costituzionale su cui si è soffermato esemplarmente Alessandro Mangia in una serie di studi, di cui mi sono ampiamente servito. Attraverso queste procedure fattuali la costituzione viene alterata in modo ben più sostanziale di quanto avvenga attraverso il potere di revisione previsto dai costituenti, fino a diventare, come diceva un discepolo di Marx, un Papier Stück, soltanto un pezzo di carta. Ed è certo significativo che queste trasformazioni si modellino sulla struttura duale della governance  nazista e che sia forse il concetto stesso di “governo”, di una politica come “cibernetica” o arte del governo che occorra mettere in questione.

Due caratteri essenziali di questa nuova figura dello Stato amministrativo, sui quali è necessario riflettere:

1)il paradigma delle libertà autorizzate, di cui il greenpass è l’esempio perfetto. Nel diritto amministrativo l’autorizzazione è un atto che non attribuisce nuovi diritti, ma permette l’esercizio di diritti esistenti. Così oggi vediamo che libertà che sembravano andare da sé, come il diritto di uscire di casa per passeggiare o quello di prendere un treno per spostarsi da una città all’altra hanno bisogno per essere esercitate di una autorizzazione. 

La parola autorizzazione viene dal latino auctor. Nel diritto romano auctor  è colui che interviene a integrare  l’atto di qualcuno che non ha la capacità di produrre atti in sé giuridicamente validi (per esempio un minore o un fusiosus, un pazzo). Nel regime delle libertà autorizzate, ciò significa che i cittadini sono incapaci di esercitare in modo pienamente valido  le loro libertà e i loro diritti e hanno bisogno per farlo di un’autorizzazione. Si tratta di uno stato di minorità generalizzato, che i cittadini che devono esibire ogni volta il loro greenpass  scambiano invece per una garanzia di libertà, senza pensare che, così com’ è stata accordata, l’autorizzazione potrà essere tolta, se e quando l’auctor lo giudicherà opportuno. Ma al di là dell’ esempio contingente, è il concetto  stesso di libertà che muta da cima a fondo e la prima conseguenza è una sostanziale depoliticizzazione della cittadinanza. Se la democrazia era nata ad Atene nel quinto secolo attraverso una politicizzazione della cittadinanza, la fine delle democrazie occidentali coincide con l’assoluta depoliticizzazione  dei cittadini.

2)Un secondo carattere del Leviatano amministrativo è l’estensione particolare del concetto di subordinazione. La subordinazione è una categoria giuridica che gli studiosi di diritto amministrativo non sempre riescono a definire con precisione, ma che riguarda essenzialmente il rapporto gerarchico all’interno degli organi dell’amministrazione statale. Un soggetto è subordinato a un altro quando questo è legittimato  a impartirgli unilaterlamente dei comandi e a determinare  il suo modo di agire. Quello che sta avvenendo nell’emergenza sanitaria è che tutti i cittadini, che sono stati privati della loro  partecipazione   alla vita politica, diventano occasionalmente parti subordinate dell’ordine burocratico amministrativo, svolgendo funzioni di controllo che competono solitamente ai membri della pubblica amministrazione. Così come   l’esercizio delle   libertà dei cittadini ha bisogno di una autorizzazione, così ciascuno  deve   esercitare all’occasione una funzione subordinata di controllo sull’autorizzazione degli altri. 

 

 

E’ sul concetto di controllo che vorrei terminare queste mie corsive riflessioni. Filosofi e politilogi sanno da tempo che le nostre società sono passate dal modello delle “società di disciplina” a quello delle “società di controllo”. Il termine “controllo” è relativamente recente e  non figura come tale nel grande dizionario di  Tommaseo e Bellini. Vi appare  invece la voce “controllare”, che Tommaseo considera una “voce straniera” accanto a “controllo” ,  che suggerisce di tradurre alla lettere come “controruolo” e a cui fa corrispondere l’italiano  “riscontro” (e “riscontrare”) . L’osservazione è pertinente, perché il termine “controllo” deriva  dal francese contrerole, che è un registro che fa da riscontro a un altro. Si ha controllo ogni volta che si fa corrispondere un dato a un altro, per verificarne  l’esattezza o la validità o semplicemente la pura e semplice esistenza. 

A me sembra che il controllo capillare e generalizzato che si sta istaurando nelle nostre società postdemocratiche, anche se può essere ed è  certamente usato a degli scopi  particolari poco edificanti, nella sua essenza non sia un mezzo, ma piuttosto un fine, anzi il fine ultimo della vita sociale. La società tende al riscontro universale, al controruolo generale di ogni cosa in un’altra. Vi è, cioè, una ontologia del controllo: essere significa essere controllato, come Berkeley diceva esse est percipi . Che in questo modo il controllo giri su se stesso e il riscontro tenda a sostituirsi all’atto di cui fornisce  il controruolo, che  esso prenda in questo modo il posto della vita,  togliendole lo spazio di cui essa ha bisogno per vivere, è certamente possibile ed è anzi quanto sta avvenendo sotto i nostri occhi. 

E’ stato detto che lo stato moderno vive di presupposti che non può garantire. E’ possibile che un controllo assoluto e autoreferenziale sia la forma in cui questa assenza di garanzie ha raggiunto la sua massa critica e che lo stato moderno sia giunto  alla fine della sua storia ed è questa fine che stiamo forse vivendo.  In questo senso, il controllo universale corrisponderebbe parodicamente al sapere assoluto della filosofia hegeliana.  E se nel paradigma di una religione ormai  sottomessa e allineata l’Ultimo Giorno concideva col Giudizio universale, nella sua secolarizzazione informatica la novissima dies, che viene continuamente aggiornata, è quella  del Controllo universale, coi suoi dannati e i suoi eletti, i suoi sommersi e i suoi salvati.

 

 

 

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  1. Carlo carpaneto 29 Dicembre 2021 at 10:12 - Reply

    Singolare se non unica capacità di analisi ricchissima di infiniti spunti e rivelazioni sul presente..La tentazione di trasporre la rivoluzione e secolarizzazione informatica dal piano morale e post religioso dove si è di fatto già radicata in quello ” politico”, nel senso etimologico ,è stata troppo forte per poter resistervi. La rivoluzione antropologica da anni in corso dopo aver sovvertito il campo morale adesso aggredisce quello politico così da chiudere il cerchio

  2. Andrea Merola 29 Dicembre 2021 at 13:11 - Reply

    “se la democrazia era nata ad Atene….” abbiamo un problema con la lingua italiana?

    • Andrea Broi 4 Gennaio 2022 at 16:32 - Reply

      Lucidissima analisi professore. Purtroppo non vi è “coscienza collettiva” dello “stato di eccezione” cui, nostro malgrado, lentamente e inesorabilmente siamo sprofondati. Il continuo susseguirsi di normative che, per ammissione stessa di illustri costituzionalisti, sono scritte in modo incomprensibile anche per gli addetti ai lavori, sembra giustificare lo stato di emergenza, anziché rispondere a criteri coerenti di sanità pubblica. Le stesse misure “sanitarie”, spesso per ammissione degli stessi legislatori ed esperti, non sono giustificate da evidenze scientifiche; sono decreti che, privando i cittadini delle loro libertà e diritti fondamentali, costringono, in modo surretizio, gli stessi cittadini, a compiere delle scelte (ad esempio vaccinarsi) per le quali non vige l’obbligo. E qui sta la più grande contraddizione. Perché lo Stato non ha reso obbligatorio il vaccino, dopo oltre due anni di “stato di emergenza” se la riteneva una misura risolutiva e così imprescindibile per la salute pubblica? Evidentemente perché riteneva prioritario garantire e preservare, anche in emergenza, il diritto di libera scelta del cittadino. Ma come può lo stesso diritto essere garantito dalla normativa in essere, via via più restrittiva, e di fatto ancor più lesiva dei diritti essenziali costituzionalmente garantiti? Non vi è in questo palese contraddizione? Un ringraziamento a voi tutti della Commissione per i preziosi contributi….

    • Jules 27 Gennaio 2022 at 23:31 - Reply

      Di grazia, ci illumini sull’esattezza della frase secondo il Suo Accademico parere. Qui lei mette un rigo rosso e di certo un Professore non può lasciar passare: prima la Forma che si ritiene giusta e dunque prima la Burocrazia! Di Forma si vive e non di vil pensiero. Bisogna colpire in ogni modo chi ardisce a pensare. Solo chi è Autorizzato può pensare

  3. Alessandro 23 Gennaio 2022 at 18:33 - Reply

    Le riflessioni sullo stato d’eccezione qui riprese ed oggetto dello studio pubblicato venti anni fa, si riferiscono al solo stato d’eccezione fittizio a cui, come rileva lo stesso studio di Agamben, si contrappone il vero stato d’emergenza, esposto ad esempio in alcuni scritti di Benjamin.
    Lo stato d’emergenza fittizio pone la questione della legittimità del potere, e l’opposizione ad esso conduce o alla ricerca di una nuova fonte di legittimazione o alla afasia più o meno panica. La critica del vero stato d’emergenza si pone al contrario la questione della delegittimazione del potere e di una alternativa all’uso della violenza, di cui la legge è sanzione.

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