Il settimo appuntamento 2021 con il Forum intergenerazionale TRAMANDARE si terrà SABATO 10 LUGLIO, su piattaforma Zoom, dalle 10 alle 13: “Territorio e autonomie locali: beni comuni” sarà discusso da:
- Alberto MAGNAGHI, Architetto e urbanista, Professore emerito dell’Università di Firenze, Presidente dell’associazione multidisciplinare “Società dei Territorialisti e delle Territorialiste”
- Elena CARLETTI, Sindaco di Novellara, Presidente dell’Associazione “Comuni Virtuosi”
- Giusy PAPPALARDO, Ricercatrice in Tecnica e Pianificazione urbanistica, Laboratorio per la Progettazione Ecologica e Ambientale del Territorio, Dipartimento di Ingegneria Civile e Architettura, Università di Catania
- Emanuela SAPORITO, Architetto, assegnista di ricerca post-doc in Sociologia Urbana, Politecnico di Torino, Vicepresidente dell’associazione OrtiAlti e Membro attivo di Labsus (Laboratorio per la Sussidiarietà).
con l’introduzione di Ugo MATTEI e la moderazione di Gilda FARRELL
RIFLESSIONI INTRODUTTIVE SULLA TEMATICA
Siamo in un momento cruciale di esaurimento di una certa idea di autonomia, costruita su scelte di produzione e consumo impostate sulle dinamiche globali del mercato, che mettono in crisi i legami tra persone e spazi di vita, le cui conseguenze economiche, ambientali, sociali e sanitarie sono ormai incontrollabili. Ora, la questione essenziale è come ristabilire le relazioni nei territori, garantendo la sostenibilità dell’Umanità, della Natura e della Terra. Cioè, intendere il territorio come civitas, spazio di cittadinanza e di trasformazione. In questo senso, come pensare il concetto di territorio-bene comune?
Possiamo farlo come “nomadi” o persone in cerca, facendo dell’approccio collettivo e partecipativo nel territorio un momento effimero di celebrazione occasionale. Tuttavia, materializzare la dimensione comune nel tempo richiede di ripensarla nel quotidiano della stanzialità. Al contrario, però, oggi la stanzialità rafforza l’autonomia della scelta individuale e priva i cittadini degli orizzonti politici offerti da ciò che deve essere condiviso, curato e trasmesso attraverso la collaborazione. Perché, cosa garantisce la sostenibilità della vita collettiva, se non la capacità di generare e trasmettere cura e benessere, creando, in un dato contesto, una catena di relazioni durature? Sottraendo il senso di benessere dallo stile di vita stanziale, incoraggiando i cittadini a cercare felicità e libertà altrove, nel mercato globale, civitas e polis, diventano “luoghi di nomadismo”, dove la precarietà è norma. Il concetto di territorio-bene comune propone di ripensare la politica come esercizio delle relazioni di prossimità, che possa rafforzare la capacità di prendersi cura dell’altro e della natura, piuttosto che favorire un passivo consumo dei luoghi nell’indifferenza. Il concetto di territorio bene comune non è supporto delle fedi cieche, della proprietà privata, del consumo illimitato o dello sfruttamento, ma il risultato dell’appropriazione collettiva dell’idea di conservazione della vita.
Questa funzione dei territori diventa meno evidente con l’emergere di spazi politici “virtuali”. Impariamo a convivere con petizioni online, che spesso perdiamo di vista. Occupiamo questi spazi in modo effimero: agorà e civitas via Zoom, Skype o WhatsApp. Sono questi dei “beni comuni deperibili”, un ossimoro o l’eliminazione del territorio come condizione della politica? L’effimero nell’azione politica era impensabile qualche tempo fa: l’impotenza della lungimiranza, dell’anticipazione. Siamo di fronte all’imprevedibile in senso stretto, ad una sorta di intoppo epistemico, una trappola, che impedisce di cogliere i cambiamenti da prevedere? A quale condizione il territorio-bene comune può restituirci la lungimiranza? Potrà esserlo a condizione di non dissociarlo dal concetto di “autonomia collettiva”, di interiorizzazione del benessere nel perimetro di un contesto? Se il virtuale s’impone, siamo di fronte a un cambiamento qualitativo radicale nel paradigma della conoscenza e trasformazione del territorio e quindi dell’articolazione politica ad esse collegata, in cui la casualità si impadronisce di tutti gli aspetti della conservazione della vita, come per esempio, affrontare l’accoglienza dei “nomadi forzati”, dimensione sempre più importante dei territori “reali”.
Come pensare il territorio bene-comune nelle cosiddette società di massa? Il gran numero di abitanti, stipati nelle città, porta piuttosto alla standardizzazione dei comportamenti e all’uniformità come obiettivo, mentre il territorio bene-comune chiede intuitivamente l’uscita dall’alienazione e dal conformismo? È il conformismo – come dice H. Arendt – l’ideale politico delle società di massa avvolta nella routine della vita quotidiana?
Il concetto di territorio-bene comune introduce una nozione politico-normativa che lo differenzia da quella in cui la separazione tra spazi privati e pubblici è foriera di diseguaglianze. In effetti, questa visione porta ad accettare che la proprietà privata sia la condizione principale di ammissione a un dominio politico legittimato a compiere delle scelte. In altre parole, la proprietà di spazi privati offre il diritto di appartenenza a una comunità politica (di proprietari?).
La società di massa, che riduce il cittadino a comportamenti assimilabili a quelli di un “animale condizionato” dal consumo sfrenato, è un ostacolo in più alla formulazione di territorio bene-comune? La risposta è tutt’altro che semplice. Il rischio è quello di associare territorio bene comune alla sperimentazione o ad approcci produttivi alternativi, dove i benefici vanno alle élite. Mentre la società solleva altri problemi di regolazione politica e normativa degli “spazi del possibile”. È dunque centrale chiedersi territorio bene-comune “per chi”? Da una prospettiva anticonformista, se si immagina la sopravvivenza umana come azione politica di “cittadinanza” per il maggior numero di persone, esso dovrebbero rendere il diritto di cittadinanza e di ammissione al dominio politico pubblico a chi è escluso o spoglio di proprietà privata.
Se territorio bene-comune è un concetto per la salvaguardia della vita, è legato alle dinamiche di sviluppo di quest’ultima. Dunque, la sua sostenibilità dipende da relazioni reciprocamente vantaggiose e complementari, non solo tra esseri umani (socializzazione) ma anche con altre specie viventi (oltre l’umano). In questo senso, il concetto di simbiosi, cioè di co-sviluppo, porta a considerare la vita nella sua totalità. Territorio bene-comune nasce da relazioni intersoggettive e inter-specie, cioè da un approccio che al di là dell’empatia umana integra la comprensione dell’origine e della continuità della vita con l’intera biosfera. Questo implica inoltre che la simbiosi non riguardi solo i vivi ma anche i non ancora vivi (generazioni future).
Inoltre, se il territorio bene-comune è concepito solo come garanzia di diritti soggettivi, è chiaro che il “soggetto”, come base giuridica per il rispetto della vita, ignora i legami con altre specie. Siamo quindi privi di strutture per riconoscere la simbiosi inter-specie come principio. L’insistenza su un approccio antropocentrico, incentrato su una singola specie, sta portando alla distruzione degli ecosistemi, minacciando l’esistenza stessa delle società umane, comprese quelle future. Territorio bene-comune implica così una nuova cultura, che porti ad approfondire la consapevolezza dell’interdipendenza tra le specie. Inoltre, ricorda come Anna Tsing, “nella logica capitalistica della mercificazione, le cose vengono strappate dal mondo in cui vivono per diventare oggetto di scambio”. Contrastare questa logica, implica anche la restituzione del diritto di cittadinanza alle cose, ovvero rivelare l’alienazione che cela l’ambiguità della definizione del concetto di territorio bene-comune come diritto alla sopravvivenza dell’umanità.
Infine comune non è solo un altro modo di possedere o occupare, ma un principio etico fondamentale nel decidere come assumersi delle responsabilità. Comune, nel caso dei territori, comporta un’etica generativa di un “nuovo meccanismo collettivo” nel modo di appropriarsi, curare e trasmettere. La domanda socratica “Come dovremmo vivere?” si dovrebbe formulare in “come sopravvivere insieme? o come organizzare la nostra sopravvivenza collettiva?” Si tratta di sviluppare una concezione etica della motivazione, come dice Sen, a fine di orientare le scelte in una dimensione di benessere collettivo, e, ancor di più, di stabilire un rapporto tra democrazia (demos) e integrità di vita (holos – bios). Questo rapporto significa che le aspettative democratiche di ognuno e di tutti includono il rifiuto del superfluo e dello spreco (niente di troppo, Mêdèn agan) e l’aspirazione all’autonomia collettiva, come principi liberatori dal consumo illimitato del territorio. Si spreca nella speranza di rendere presente la felicità. È solo l’etica della motivazione che porta a superare la paura che l’autonomia collettiva e il rifiuto dello spreco suscitano, integrando una nozione di felicità che, al di là del consumo individuale, dipenda dalla dimensione territoriale della cura. I territori beni-comuni consentono di riformulare quindi il soddisfacimento dei propri bisogni nella cornice più ampia della ricerca di un benessere collettivo.
PROGRAMMA
Ore 10:00: Breve sintesi e lezioni del Forum precedente, Ugo MATTEI
Ore 10.10: Breve introduzione della tematica e dei partecipanti, Gilda FARRELL
Ore 10.15: La cura del patrimonio territoriale: verso nuove forme di democrazia comunitaria, Alberto MAGNAGHI
Ore 10.35: Rinforzare democrazia e autonomia locali: il ruolo dei beni comuni, Elena CARLETTI
Ore 10.55: Questioni irrisolte per il governo del territorio: quali alleanze per i beni comuni? Giusy PAPPALARDO
Ore 11.15: Ruolo generativo dalle pratiche dal basso nei territori: Emanuela SAPORITO
Ore 11.35: Interazione col pubblico
Ore 12.00: Dissimmetria tra impegno comunitario e incapacità delle strutture di governo ad accogliere le istanze d’autonomia e valorizzazione del territorio create dai cittadini, Alberto MAGNAGHI
Ore 12.10: Territorio come bene comune: l’esperienza di Comuni Virtuosi, Elena CARLETTI
Ore 12.20: Lezioni apprese da 10 anni di ricerca-azione, declinando il concetto di territorio-bene comune nella Valle del Fiume Simeto, Sicilia orientale, Giusy PAPPALARDO
Ore 12.30: Lezioni essenziali dalle iniziative create nella cornice dei Patti di Collaborazione e dal Regolamento per la gestione condivisa, Emanuela SAPORITO
Ore 12.40: Interazione col pubblico
Ore 13.00: Chiusura
Credo nei territori “beni comuni”, al punto che vorrei una norma che stabilisce
Il suolo entro i confini italiani, di inalienabile proprietà della Repubblica Italiana; cedibile in concessione (affitto), per non più di 99 anni, su richiesta motivata, al costo annuale dell’importo della tassa attuale di proprietà.
Buongiorno sono David desidero iscrivermi in nome dei beni comuni
buon giorno, devi per piacere iscriverti usando l’apposito link ISCRIVITI
Sono onorato di entrare a far parte di questo forum
quanto costa l’iscrizione?
Penso che la sfida sia trovare cosa ci può legare in modo forte ed unito per combattere e risvegliare il nostro senso civico di Italiano a salvaguardia dei beni e diritti comuni