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I beni comuni esprimono utilità funzionali all’ esercizio dei diritti fondamentali della persona, vanno collocati fuori mercato e gestiti anche nell’interesse delle Generazioni Future. Si tratta della celebre definizione che la Commissione Rodotà, di cui fui vicepresidente nel 2007, ha regalato alla cultura giuridica e alla giurisprudenza italiana, senza riuscire tuttavia a divenire mai legge. La riforma dell’ Art 9 Costituzione è stata sicuramente una pelosa opera Draghista di “green washing”, ma ha fatto atterrare le “future generazioni” addirittura fra i principi fondamentali della Costituzione: nel loro interesse vanno governati l’ ambiente e gli ecosistemi. Serve sfruttare questo appiglio. È ben chiaro ai giuristi che un testo costituzionale, a dispetto della sua sovraordinazione formale, è ben meno capace di mordere concretamente rispetto al Codice Civile. Ciò spiega perché il progetto Rodotà non è mai stato neppure vicino a diventare Legge, nonostante la pressione dal basso generata dall’ iniziativa popolare del 2018 e ancor prima dal referendum del 2011 sull’ acqua. In effetti, se mai i beni comuni, “oltre il pubblico e il privato”, si fossero collocati al centro del sistema tecnico-giuridico innervando il libro terzo del Codice dedicato alla proprietà tanto privata quanto pubblica, si sarebbe potuto affrontare in modo ben altrimenti pregnante la discussione messa drammaticamente […]
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