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L’8 novembre 2025 segna una data che resterà nella storia dell’informazione indipendente. In un teatro di Milano, centinaia di soci si sono riuniti per la prima assemblea di Media Pluralisti Europei S.p.A.

È stato il momento in cui un’idea di Claudio Messora, nata quindici anni fa, quella di un’informazione libera, costruita dai cittadini e per i cittadini, è diventata una realtà compiuta, con un Consiglio di Amministrazione, un capitale diffuso e una visione condivisa.

Un giorno che non è stato solo amministrativo, ma simbolico: il passaggio dal sogno alla struttura, dalla resistenza all’organizzazione, dalla voce solitaria alla comunità. Fra gli interventi di apertura anche quello del giurista Ugo Mattei.

Il discorso integrale di Ugo Mattei

È un momento davvero bello, emozionante, molto atteso. Personalmente, Byoblu l’ho conosciuta per caso. Nel 2016 avevo fatto una lezione all’Università di Torino, che poi quel genio della comunicazione di Claudio ha impacchettato con un titolo che si chiamava “Perché non ci fan togliere la batteria dal cellulare?”. Io sono uscito di lì, ho visto quel video che avevo postato online con un pezzo del mio intervento, e vedevo quelle visualizzazioni aumentare, aumentare, aumentare.

Ho superato i due milioni, forse addirittura ne ha raggiunti tre. È stata una cosa molto strana. Mi ricordo che all’epoca mi fermavano i tassisti dicendo: “Ma lei è quello che ha detto che non ci fanno togliere la batteria dal cellulare?”. Era il 2016. A quel punto, incuriosito, ho telefonato a Messora e gli ho detto: “Voglio venirti a conoscere”. Sono andato a conoscerlo proprio nell’appartamento di cui parlava Virginia. È cominciato così un rapporto fondato sull’amicizia, sulla sincerità. Abbiamo stabilito un bel legame.

Byoblu era secondo me allora, ed è oggi più che mai, il punto di riferimento principale di un vasto arcipelago: tante realtà, tante piccole reti televisive o, più spesso, realtà della rete. Ma Byoblu era quella che aveva il ruolo più importante. E ho sempre pensato che fosse fondamentale consolidare un soggetto giuridico ed economico come Byoblu, che aveva davvero la possibilità di fare la differenza. Perché essere divisi è una ricetta certa per la sconfitta. Provare a unirsi è invece l’unica strada percorribile.

Abbiamo quindi iniziato a riflettere su quale potesse essere la migliore forma giuridica per dare a Byoblu una capacità di incidere sull’informazione, e fare davvero dell’informazione un bene comune. Io, già dal 2018, avevo iniziato a discutere dei beni comuni. Ne parlavamo con Rodotà dal 2005-2006. Dopo il referendum del 2011, si è cominciato a riflettere più ampiamente: i beni comuni sono diventati una categoria interpretativa della politica, perché non dividono più fra destra e sinistra – divisione ormai artificiale – ma dividono fra capitale e beni comuni.

Da una parte chi sta col capitale, motivato dal far soldi. Dall’altra chi ritiene che la vita umana e i rapporti umani siano più importanti del capitale stesso.

Questa divisione è importantissima: serve per leggere tanti passaggi politici e sociali, e ci serve anche per leggere l’idea dell’informazione come bene comune. Lo ha detto benissimo Adalberto all’inizio: qui stiamo cercando di fare dell’informazione un bene comune, cioè un’informazione libera dai poteri concentrati, pubblici o privati.

Ma bisogna trovare una formula che consenta di farlo sopravvivendo. Perché il capitale serve: la questione è come usarlo, e per quale scopo.

Generazioni Future era l’ex Comitato Rodotà. Lo abbiamo fondato dopo la morte del maestro per provare a introdurre nel diritto italiano, nel Codice Civile, l’idea dei beni comuni. Non ci siamo ancora riusciti, ma abbiamo ottenuto risultati straordinari: i beni comuni sono entrati davvero nella giurisprudenza e nelle prassi.

Piano piano si è aperta l’idea che il potere non deve essere concentrato, ma diffuso. La partecipazione deve essere decisionale. Bisogna stare attenti a non finire nella “ruota del criceto”, credendo di partecipare quando in realtà non si decide nulla.

Con lo Statuto che abbiamo concepito per Media Pluralisti Europei S.p.A. Benefit, la partecipazione non è solo immagine: è capacità di incidere sulle decisioni future di questo soggetto nascente, che sono certo diventerà grande, importante, influente nello scenario della comunicazione in Italia – e, perché no, non solo in Italia.

Il potere decisionale diffuso, la condivisione di una visione di lungo periodo: nella parola “pluralisti” c’è ciò che intendiamo per informazione bene comune. L’informazione è bene comune quando è dialettica autentica, quando nessun gruppo cerca di sopraffare un altro, quando si prova ad avvicinarsi il più possibile alla verità – che oggi è un tema complesso, soprattutto nell’epoca dell’immagine e dell’intelligenza artificiale.

Lo abbiamo fatto con gli strumenti che sono riuscito a mettere a disposizione di Claudio: gli strumenti del giurista. Non sono quelli del filosofo, non hanno grandi voli, ma hanno la capacità di mettere in bella copia e dare struttura alle decisioni.

Media Pluralisti Europei ha preso una decisione importante e l’ha messa nero su bianco: il pluralismo e l’informazione come bene comune. È scritto nel preambolo dello Statuto e in tutti gli articoli. E soprattutto lo si implementa con una struttura societaria che ho definito “a natura delfino”.

Che cosa intendo?
Le società di capitali come Amazon, Pfizer o Leonardo – che hanno guadagnato enormemente nelle crisi recenti, anche a costo di decisioni che hanno avuto impatti devastanti – sono società squalo. Hanno nel loro DNA l’istinto di massimizzare i profitti, ridurre gli investimenti sociali e accrescere il valore per gli azionisti. Non è questione di buono o cattivo: è la loro natura, come quella di un predatore.

Noi abbiamo cercato di costruire un DNA diverso. Una società delfino: sociale, cooperativa, centrata sui rapporti umani. Una società che usa il capitale non per moltiplicarsi, ma per generare valore sociale.

Per far sì che questo non resti un catalogo di buone intenzioni, abbiamo concepito una struttura con garanzie interne: diversi tipi di azioni che garantiscono che i beni comuni siano difesi dall’interno.
Le azioni E sono riservate a soggetti collettivi che perseguono i beni comuni, e servono a verificare che Media Pluralisti Europei mantenga le sue promesse.
Le azioni D sono riservate ai lavoratori, perché i lavoratori e gli utenti – come previsto dall’articolo 43 della Costituzione – avrebbero dovuto essere le comunità di riferimento per i servizi pubblici strategici.

L’informazione è uno di questi servizi.
Chi produce l’informazione – i giornalisti – e chi la riceve – i cittadini – sono i due soggetti che hanno interesse a che essa sia un bene comune.

Per questo abbiamo avviato anche una class action contro la RAI: perché un giorno l’informazione torni davvero a essere un bene comune nazionale. Senza un’informazione giusta ed etica è impossibile immaginare una società giusta ed etica.

Potete stare certi che il lavoro di Generazioni Future, il mio e quello dei lavoratori che entreranno nel Consiglio di Amministrazione sarà sempre informato da questa visione: diffondere il potere, non concentrarlo.

Nessuno di noi cercherà mai di accentrarlo.
Tutti noi stiamo lavorando per restituire alle comunità degli utenti e dei lavoratori le decisioni importanti, per arrivare davvero a far sì che un giorno l’informazione sia un bene comune.

È un pezzetto alla volta che si cambia il mondo. Come quando si disinquina un lago: si comincia da un angolo, e poi piano piano tutto il resto segue.

Grazie mille davvero.

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