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SINTESI DI GIUSTIZIA SOCIALE E BENI COMUNI – Forum Tramandare del 23 gennaio 2021

  1. INTRODUZIONE ALLA TEMATICA

Definire i commons o definire i beni comuni

Lorenzo Sacconi ha aperto il dibattito su due aspetti dell’approccio economico alla definizione di beni comuni: la modalità d’accesso (non esclusività) e il loro utilizzo (non rivale). Considerando un agente economico razionale egoista, che non può essere escluso dall’uso di un bene, e che anticipa il consumo degli altri, il suo eccessivo utilizzo comporta il deperimento del bene. I costi della sua azione ricadono su tutti mentre il beneficio ricade soltanto su di sé. Gli altri, in risposta, espandono il proprio consumo. Questo presupposto conduce Hardin nel 1968 a parlare della “tragedia dei commons[1], cioè dell’effetto degradante di esternalità negative (incontrollabili attraverso meccanismi di mercato). La soluzione intravista è quella di imporre la proprietà privata (convinzione tuttora condivisa da molti: “proteggiamo meglio ciò a cui attribuiamo del valore” -ben inteso di mercato) o il razionamento attraverso controllo pubblico, conferendo così il potere di escludere ad un soggetto esterno alla comunità.

Un altro approccio smentisce la tragedia dei commons: introdotto da Elinor Ostrom, approfondisce la questione della governance, mostrando -attraverso studi empirici- che tradizionalmente le comunità hanno gestito in comune sistemi d’irrigazione, foreste, pascoli, aree di montagna senza che questo abbia provocato il loro deperimento. La dimostrazione che la gestione collettiva poteva combinare efficienza ed equità nella distribuzione dei benefici (dando luogo a istituzioni efficienti, nelle quali si ottengono i risultati miglior possibili pur essendo sempre possibile fare i furbi)[2]. Ostrom introduce così una prospettiva di economia comportamentale e istituzionale. I commons sono una modalità di governance: una comunità sviluppa delle regole per l’utilizzo di una risorsa comune che non è proprietà esclusiva di nessuno, le quali sostengono la creazione di certe preferenze. E queste, a loro volta, sostengono la conformità alle regole e quindi, spingono l’utilizzo efficiente della risorsa, evitando la “tragedia dei commons”.  Questo approccio è confermato da esperimenti di laboratorio e sul campo. Questi mostrano che di fronte a un problema di consumo di un bene comune- avendo discusso precedentemente le regole di utilizzo -gli individui si comportano di conseguenza, anche potendo agire egoisticamente e violare le regole[3]. Insomma, auto-governo e auto-determinazione, attraverso meccanismi collettivi di scelta e auto-controllo,generano commons efficaci. I vincoli non sono imposti dall’esterno, ma dalla autoregolamentazione degli  utilizzatori e dei produttori.  La generazione dei comportamenti coerenti -con i principi e le regole- è endogena e non esogena. Questo è importante anche dal punto di vista etico perché l’autonomia -il primo dei valori morali in una prospettiva kantiana- implica il riconoscimento da parte della autorità statale del diritto all’auto-organizzazione, senza intromissioni costanti.

Una lezione importante dell’auto-governo è la possibilità di “spacchettare” il “terribile diritto della proprietà privata”, modulando e conferendo alcuni diritti di inclusione ed esclusione, distribuzione dei benefici, gestione e sfruttamento delle risorse, risoluzione dei conflitti ed altro a soggetti diversi nelle comunità, senza che nessuno detenga la proprietà come potere assoluto di esclusione e di alienazione.

Comunque, questi due approcci, tragedia e governance, riguardano i beni comuni come risorse ambientali, naturali o culturali di uso collettivo, cioè i commons.  Questa costatazione ha portato Lorenzo Sacconi ad affermare che queste due caratteristiche (escludibilità e rivalità) si declinano diversamente per altri tipi di beni ad uso comune, come la conoscenza –che non è rivale per alcuni aspetti– o le grandi infrastrutture o le reti, dove partendo dalla non escludibilità si creano delle esternalità positive, cioè altri beni. Per esempio, le reti hanno senso quando sono in molti ad utilizzarle o partecipare.  Questo apre un ampio campo di considerazioni, cui è possibile estendere ad altri beni l’autogoverno tipico dei commons, la cui governance richiede l’identificazione di confini definiti. Infatti, altri beni non escludibili sono globali. Se la finalità dei commons è la preservazione per una comunità specifica, quella dei beni comuni è l’innovazione, possedendo un potenziale universale. Comunque, avendo come riferimento il modello Ostrom, commons e beni comuni si compongono di una triade: risorse, comunità e regole.

L’efficienza nella gestione dei commons risulta così dalla formazione di contratti sociali che diventano delle istituzioni generative di motivazioni e razionalità diverse da quelle dei mercati concorrenziali. Per esempio, le disposizioni degli agenti (i commoners) a cooperare e mettere in atto delle regole diverse da quelle del mercato, dove vige la massimizzazione dell’interesse personale. … (continua)

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