webmaster

Share

GUARDA LA DIRETTA – clicca qui

Forum Tramandare del 20 marzo 2021

Laudato Sì, guida per intraprendere il cammino dell’ecologia integrale

Per P. Joshtrom Kurathadamin questo cammino,paradigma è una parola importante. Thomas Kuhn, grande filosofo e storico della scienza (utilizzò “paradigma” per definire un modello) scrisse che le nostre società sono passate dal dio-centrismo all’ego-centrismo. Criticare il paradigma attuale, senza proposta alternativa, equivale a non cambiarlo.  Ecologia integrale è un paradigma sostitutivo di quello attuale che uccide la vita. Quando l’enciclica Laudato Si è uscita, Dale Jamieson la qualifico come il più importante testo ambientale del secolo XXI. Cinque anni dopo, questa profezia si è verificata. Al cuore del nuovo paradigma si trova una visione integrale che Papa Francesco esprime così: “l’esistenza umana si basa su tre relazioni fondamentali, strettamente connesse: quella con Dio, con il prossimo, con la terra”. Qualcuno può ancor pensare che il compito dei cristiani sia salvare le anime… ma già santi come Francesco d’Assisi, Madre Teresa di Calcutta, avevano una visione integrale del compito umano. 

Come abbracciare l’ecologia integrale come nuovo paradigma?

Prima di tutto, considerare la terra come casa, non soltanto come ambiente che ci circonda. Il sottotitolo di Laudato Sì è “per la cura della casa comune”. Cura è molto di più di custodia.  Ed è proprio riguardo alla casa comune che il Papa vorrebbe entrare in dialogo con tutti. Una casa comune non solo per la famiglia umana, ma per tutti i viventi. L’intuizione è che Papa Francesco sia stato scelto per questa missione. San Francesco si è convertito nella chiesa di San Damiano, ad Assisi, ed ha ricevuto la missione di ricostruire la casa, la chiesa. Papa Francesco ha ricevuto la missione di riparare la nostra casa. Il messaggio non viene solo da Dio, ma dagli umani nella loro diversità e dall’intero creato. Lo stato della casa comune è disastroso.  Secondo il gruppo di studio sui limiti planetari (2009), guidato da Johan Rockström, la vita umana può prosperare all’interno di 9 “limiti planetari” o sistemi fondamentali, di cui tre su scala planetaria: gli oceani, il sistema climatico atmosferico e lo strato di ozono stratosferico; quattro si trovano nella biosfera: biodiversità, ciclo idrologico, sfruttamento del suolo e ciclo dei nutrienti come azoto e fosforo. Gli ultimi due appartengono a categorie che non esistono naturalmente: inquinamento atmosferico e scorie nucleari. Ad oggi ne abbiamo oltrepassati 4.Il grafico qui riprodotto mostra, per esempio, che l’estinzione della biodiversità è dieci volte più alta da quel che potremmo considerare normale.  Ma i fenomeni sono inter-collegati e la casa sta crollando.

Secondo, coniugare il grido della terra con quello dei poveri. La terra soffre ma anche i popoli. La crisi ecologica incide su aspetti fondamentali della vita umana, come la sicurezza alimentare (messa in pericolo dalla siccità – la fame colpisce 820 milioni di persone nel mondo). Non basta chiudere i porti o erigere dei muri per evitare gli spostamenti di popolazioni toccate da desertificazione, inondazioni, fame, come la pensano alcuni uomini politici.  In effetti, questo mondo è attraversato da un apartheid climatico, diceva Desmond Tutu. Uno studio pubblicato dalla rivista scientifica Lancet, mostra l’emisfero Nord, responsabile della percentuale più alta di emissioni che incidono nel cambiamento climatico; e l’emisfero Sud, dove la mortalità causata dal cambiamento è più alta. Questo richiama all’eco-giustizia, al debito ecologico che abbiamo verso i più poveri. L’economia uccide, perché non prende cura di tutti, ma soltanto di pochi. 

L’Eucaristia non può essere celebrata dai credenti che se c’è pane per tutti.  Riguardo, per esempio, i vaccini contro il Covid 19, paesi come Sud-Africa, India hanno chiesto al WTO, di sospendere momentaneamente i brevetti, per produrlo in situ, invece d’aspettare il 2024 per averlo per tutti. Il mondo ricco ha risposto no: non si toccano i brevetti, le compagnie farmaceutiche non accettano, nonostante il fatto che la ricerca sui vaccini sia stata fatta con soldi pubblici. Dobbiamo cambiare il paradigma. Il Covid è una conseguenza dalla distruzione degli ecosistemi, la deforestazione, etc. che genera sofferenza tra i poveri.  In India, il confinamento fu decretato senza considerare che per rientrare tanti devono camminare migliaia di km: centinaia ne sono morti di stanchezza.  Non c’è ecologia integrale, senza abbracciare il mondo. 

Terzo, si deve rispondere in modo integrale: cambiare l’economia, la politica, educarci.  Riscoprire l’eco-nomia come oiko-nomia, cura della casa e della terra. Economia non è l’organizzazione del profitto per pochi.  Si deve reinventare la politica, come un’arte, una scienza, una cultura dei beni comuni: al vaccino, all’acqua, tutti ne hanno diritto. E poi, educarci. Molte cose devono cambiare rotta, dice Papa Francesco, ma per prima è l’umanità che ha bisogno di cambiare: “emerge così una grande sfida culturale, spirituale e educativa che implicherà lunghi processi di rigenerazione” (LS, 202). Il tempo stringe. Nel 2018 avevamo, secondo un rapporto scientifico, 12 anni per ridurre le emissioni, ora ne abbiamo di meno. Oltre un aumento di 1,5 gradi la civiltà umana è volta a sparire. Nell’evoluzione della terra, la temperatura non era mai variata da più di un grado. Dal 1800è più elevata. Un aumento superiore significa la catastrofe. Laudato Sì ci domanda che mondo desideriamo trasmettere, tramandare ai bambini che stanno crescendo, ai giovani, a quelli che verranno. Loro oggi scendono in strada per ricordare che“il mondo non è usa e getta”, come afferma il sistema attuale. 

Agire per attingere obbiettivi

Come per nessuna altra Enciclica, il 24/5/2020 il Papa Francesco ha indetto un anno Laudato SÌ, perché il grido della Terra e dei Poveri è diventato ancora più doloroso. Da qui è nata l’idea d’un cammino di sette anni di conversione ecologia, d’azione, aperto a famiglie, comunità, scuole e università, ospedali, imprese, organizzazioni, ordini religiosi.  Sette obiettivi Laudato Sì sono stati definiti: rispondere al grido della terra; rispondere al grido dei poveri; economia ecologica; adozione di stili semplici di vita; educazione ecologica; spiritualità ecologica; impegno comunitario e azione partecipativa.

A maggio 2021 sarà lanciato, con la speranza di avere migliaia di partecipanti, che per sette anni (numero biblico) potranno fare questo sforzo di conversione. L’idea è di crescere ogni anno e creare massa critica. La storia mostra che con il 3% della popolazione che crede, si fa una rivoluzione, come successe con la caduta del muro di Berlino, l’indipendenza dell’India, etc. L’Enciclica Fratelli Tutti completa la Laudato Sì. Riconoscere tutti come fratelli, indistintamente della loro religione. Inginocchiarsi sulla terra per assistere il fratello è ecologia integrale. 

 

Laudato Sì, il manifesto più importante sull’ecologia integrale

Per Guido Viale, casa comune è un bene comune che lega umani, viventi, la terra e l’universo, visto come firmamento, che ha avuto un’importanza fondamentale nello sviluppo delle culture, della spiritualità di tutte le civiltà.  Questi legami, come lo diceva Hans Jonas, connettono l’uguaglianza e il diritto delle persone alla giustizia ambientale, al rispetto dei cicli biologici sui quali si regge la vita su questa terra. Questo fa sì che i poveri della terra, nella ricerca di giustizia sociale, siano quelli più interessati a restituire la giustizia ambientale, salvaguardando l’integrità dell’ambiente in cui viviamo. La cura della casa comune implica manutenzione. Cura che dovrebbe diventare il centro del Piano di Rilancio post-Covid, che invece pianifica investimenti in grandi infrastrutture: la negazione stessa dell’ecologia. In quella integrale, la manutenzione riguarda sia le persone (le relazioni costitutive di una comunità) per evitare che siano trasformate in scarti (termini che riviene spesso in Laudato Sì), che le cose e il territorio. 

La cura nel paradigma dell’ecologia integrale richiede competenze “artigianali”

La cura richiede professionalità con tre caratteristiche specifiche, che si assimilano all’artigianato della riparazione dei guasti: i) conoscenze relative all’oggetto; ii) una grande manualità;iii) un’attenzione particolare,perché ogni oggetto da riparare o territorio da salvare è diverso dall’altro. Le stesse caratteristiche riguardano la manutenzione delle relazioni. Essa richiede: i) conoscenze,la sola compassione non basta, ci vuole una visione politica generale; ii) manualità, contatto diretto, la volontà di frequentare l’altro e di mettersi alla pari; iii) attenzione, perché ogni persona è diversa. Rispetto al territorio, mantenere non significa solo preservare, ma migliorare e innovare per salvaguardare. Cura delle persone e del territorio si sostengono a vicenda. Infatti, una comunità si costituisce/resiste in rapporto con la cura del territorio. Se tale compito viene affidato all’iniziativa individuale, di imprese o di istituzioni, il territorio non diventa esempio di condizioni sane di vita. Questo è importante nell’era antropocentrica, dove i cambiamenti nella crosta terrestre sono imputabili al distacco tra l’azione umana e il suo oggetto. In molti a viviamo in spazi urbani, circondati da manufatti, oggetti di consumo, che vanno curati. L’ambiente naturale non migliorerà in assenza di cure delle cose che ci circondano. 

La sottomissione, fondamenta della civiltà occidentale e del capitalismo

Civiltà occidentale e capitalismo considerano la natura come corpo morto, inerte o ribelle da domare, per sottoporlo alla volontà dell’uomo. Questo atteggiamento si è esteso alle persone. Prima ai popoli indigeni, poi agli schiavi da utilizzare come materiale da sfruttare. C’è poi lo sfruttamento delle donne, viste come troppo vicine alla natura per diventare soggetti. Tutto è sottomesso all’uomo bianco. Poi, le masse popolari, troppo ignoranti, poco acculturate e poco intelligenti per potersi governare; devono essere governate da chi ha cultura, esperienza, etc. Questo processo è davanti agli occhi di tutti. L’uscita dall’antropocene implica la fine della divaricazione tra l’umano e il mondo che lo circonda. Questo si può fare con la costituzione di comunità di vita, superando il capitalismo e la cultura di sottomissione che lo caratterizza. 

I beni comuni nel paradigma del capitalismo

Beni comuni vanno distinti da bene comune, concetto etico che rinvia alla necessità di ristabilire l’armonia tra le persone. Beni comuni sono tali quando riconosciuti da norme o volontà politica, impedendo l’appropriazione o l’azione privata su certe risorse, stabilendone la loro condivisione. Senza conflittualità-latente o esplicita- come principio ordinatorio della coesistenza, non ci sono beni comuni. Sono in potenza ma non in atto. Essi non sono una categoria merceologica da elencare. Dei beni, delle risorse che non possono non essere comuni: l’aria, l’acqua, il suolo, la salute, i vaccini. Il problema si pone di fronte al conflitto. Oggi, vaccini e salute della popolazione mondiale devono diventare beni comuni. Sarà così se emergeranno delle iniziative di lotta politica, giuridica, popolare. Non si tratta di brevetti o di etica, ma della salvaguarda della salute di migliaia di persone.  Se il vaccino ci rende immuni, la sua mancanza fa sì che il virus circoli e muti, con conseguenze a livello non solo nazionale ma internazionale. Il vaccino ha certamente viaggiato nel sangue dei manager di grandi imprese piuttosto che in quello di migliaia di persone che cercano di sfondare la nostra porta per assicurarsi la loro sopravvivenza. Il conflitto è fondamentale. Papa Francesco non è contrario, ma auspica che si risolva nel modo più civile possibile. Ne ha parlato nel 2014 all’incontro dei movimenti popolari. Comparando il lavoro produttivo nel capitalismo con quello chiamato improduttivo o riproduttivo (non solo di riproduzione biologica, ma delle relazioni, che si regge per primo sulla fatica delle donne), vediamo che questo ultimo è di cura, mentre il capitalismo ha trasformato il lavoro produttivo in incuria, in pericolo per la salute dei lavoratori e in rovina dell’ambiente circondante. 

Dalla scoperta alla proposta e all’impegno

Giorgio Brizio vide a gennaio 2019 una locandina che invitava ad un presidio per il clima a Torino.  Pur avendo conoscenze generali sul cambiamento climatico (scioglimento dei ghiacciai, etc.), ignorava l’impatto sulla vita. Non conosceva neppure Greta Thumberg e gli scioperi iniziati ad agosto 2018. Durante il presidio sotto la pioggia,pochi giovani si sono chiesti come mobilitarne altri: il risultato fu che 30 ragazzi torinesi portarono a marzo2019 30.000 persone in piazza. A settembre ci sono state manifestazioni in 180 paesi.  A Torino, si è istaurato un dialogo con diverse realtà. Un evento organizzato da don Luigi Ciotti, su casa comune, gli permise di scoprire la Laudato Sì, l’ecologia integrale, i beni comuni, l’acqua, così come la semplicità e umanità di Papa Francesco.Essendo mezzo siciliano,il legame tra migrazioni e crisi climatica è stato centrale per il proprio attivismo. Quando nell’aprile 2020 il Papa decise di appendere una croce fatta con giubbotti di salvataggio, trovati dalla nave Alex dell’ONG Mediterranea, il messaggio fu forte. 

La forza del linguaggio

Si è parlato di comunicazione, di linguaggio. La dicotomia nel rapporto uomo-natura ha origini lontane, l’uomo si sente padrone della natura, che considera plasmabile a piacere, L’ambiente è visto come risorsa da cui attingere o discarica di rifiuti. Le risorse sono rappresentate come prive di limiti, mentre acqua, petrolio, sono risorse finite. La lingua utilizza un unico modo di quantificarli, le nostre misure, una cisterna, un barile e conduce a percepirli come inesauribili.  Il disastro economico e ambientale ha le stesse origini: parte dal presupposto che l’avidità è sana e favorisce chi sfrutta. George Lakeoff parla dell’importanza del come inquadrare l’ambiente. Nel nostro modo di pensare, la natura è scontata, e l’economia misura ogni millimetro secondo il suo valore monetario e la protezione dell’ambiente come qualcosa da mettere il più possibile in commercio. Negli anni 80 il Club di Roma fece già evidente questo approccio assurdo. Quando con il linguaggio si cerca d’imporre un rapporto falso, si sbaglia, come dimostra Lakeoff: se qualcuno dice, non pensare all’elefante, tutti pensano all’elefante.  Negare non funziona, quindi dobbiamo provare un linguaggio alternativo, forte, empatico. In questo senso, il giornale Guardian ha scelto di non parlare più di scettici rispetto all’ambiente e al clima, ma di negazionisti; di non utilizzare “global-warming” (che potrebbe tradursi come tiepido), ma “global-heating” per sottolineare il surriscaldamento (infiammazione globale); non più di cambiamento climatico, ma di crisi climatica e ambientale. Siamo sulla stessa casa, ma non nella stessa casa. Di fronte al collasso ambientale non siamo sulla stessa barca, c’è chi ha la barca a remi e altri che hanno grandi yacht. Chi ha la barca a remi contribuisce di meno all’avanzare della tempesta. Costruire la stessa barca implica di disfare il sistema tossico di sfruttamento delle risorse e delle persone. Se non si cambia il sistema, l’ecologia è un affare per ricchi, come dice Chicco Mendes. 

Creare una grande alleanza ecologista, progressista e femminista 

I beni comuni inglobano il bisogno etico e radicale di reinventare il sistema economico, energetico e di produzione.  Questo domanda un contesto politico adatto. Lancio un invito a Elly Schlein, a chi guardiamo con attenzione: ci sono i presupposti per una grande alleanza ecologista, progressista, femminista. Ci sono gli impegni di tante realtà, la casa comune è una, ma a Torino abbiamo il gruppo Abele, il Sermic. Quelli che a livello mediatico sono riusciti a mobilitare l’opinione pubblica, non solo Fridays for Future o Extension Rebellion, ma tanti altri.  Per esempio, trovo rivoluzionario che a Napoli si siano incontrati operai, braccianti, riders, operatori del mondo della cultura, dell’arte e dello spettacolo, invisibili in questo momento (causa Covid). Il 2021 è un anno fondamentale, il G20, la Pre-coop, pianificazione dei fondi UE per il rilancio. Dobbiamo riuscire a costruire l’alternativa, prima di tutto a livello di società civile. Attivandoci in tanti modi: salvataggio dei i migranti, rispondendo ai bisogni crescenti delle persone, riempiendo i vuoti istituzionali. 

Giustizia sociale e ambientale sono inscindibili

Per Elly Schlein, una nuova consapevolezza interseca culture diverse, ed è frutto di percorsi culturali che pur partendo da punti diversi, stanno trovando, sempre con più vigore, un punto di collegamento, una nuova sensibilità: la lotta contro tutte le disuguaglianze e quella alla crisi e all’emergenza climatica, sono inscindibili.  Guardiamo intorno a noi e ricordiamo, per esempio, l’iniziativa di Guido Viale con Barbara Spinelli sui rifugiati climatici. Le mappe mostrate allora sovrapponevano regioni infiammate per la guerra, e non solo, nel continente africano con gli effetti dei cambiamenti climatici. Questo fa capire che i paesi e le comunità che pagano il prezzo più alto dei cambiamenti e del surriscaldamento climatico sono quelle che contribuiscono di meno a causarli. Questo ci deve far riflettere. Ricordo l’immagine del lago Chad: era il settimo per estensione e la quarta riserva d’acqua dolce al mondo. Si è letteralmente prosciugato (90%) per effetto della siccità, del cambiamento climatico in corso, costringendo milioni di persone a spostarsi in questi ultimi anni. Il documentario del regista Angelo Loy, su questo fenomeno, enfatizza le parole di chi, in estrema vulnerabilità, vive ancora nelle sponde di quel che resta del Lago Chad. Ne parlano di più che noi nell’Europa, mentre le nostre responsabilità sono più alte. Rivengo ai nostri confini, dove pure è chiaro l’impatto del cambiamento climatico che causa danni alle persone, alle cose, come è il caso degli alluvioni drammatici nel Modenese, in Sardegna. Il territorio soffre e piange ed è sempre più fragile di fronte a quei cambiamenti estremi. Nonostante ciò, proseguiamo come se niente fosse. Diciamolo con franchezza, l’unica opera di cui questo paese ha bisogno è quella di piccole e medie manutenzioni. Vuol dire di competenze tecniche, lavoro di qualità e, per chi guarda il mondo soltanto con gli occhi dell’economia, vuol dire risparmiare. Costa di meno agire in prevenzione rispetto all’agire di volta in volta nell’urgenza. E una questione di lungimiranza, di intelligenza nella cura delle risorse. Anche nel nostro Paese, diseguaglianza e clima sono inscindibili. Lo si vede nel caso delle ferite già aperte, per esempio nel dramma di Taranto, le più colpite sono le fasce già impoverite dalle crisi precedente. Le sfide sono tante.

La sfida di rovesciare il modello esistente, creare dei ponti, ascoltare i giovani

Noi dovremmo essere dei ponti tra quello che si sta già movendo nella società, nelle piazze. I giovanissimi ci stanno indicando con nettezza una via, quella dell’intersezionalità, quella che unisce le lotte per rovesciare il modello che crea diseguaglianze e distrugge il pianeta. Ricordo un incontro a Torino. Avevo incrociato i volti presenti negli scioperi per il clima, nella lotta di solidarietà con Karole Rakete, quando qualcuno si è messo in testa di bloccare le persone vulnerabili in mezzo al mare piuttosto che andare a fare le battaglie nei tavoli dove si cambiano le norme ingiuste per rispettare a pieno i diritti fondamentali di chi richiede asilo. E hanno il diritto di farlo, perché lo dicono le costituzioni, le norme europee e internazionali. Li ho rincontrati nelle piazze di Aboubakar Soumahoro dove i braccianti sono accanto ai riders (di Uber e altri), entrambi figli dello stesso sfruttamento. Cosa direbbe oggi Rodotà davanti all’innovazione tecnologica non governata da adeguate politiche, da una volontà politica di portarla in una certa direzione. Il divario aumenta. Ricchezza, potere, sapere si polarizzano. Non deve per forza andare così, possiamo costruire un’altra politica, per esempio, quella che metta l’innovazione tecnologica al servizio delle persone e comunità, anzitutto per conoscere meglio i loro bisogni. 

La sfida dell’adattamento e dell’innovazione

La pandemia mondiale ha fatto saltare molti paradigmi e ha costretto chi amministra a adattare e innovare gli strumenti di supporto alle persone più fragili, alle famiglie, alle imprese, a chi lavora. E in questo contesto l’obbiettivo è ridurre le diseguaglianze e le tensioni sociali che esse comportano. La Regione Emilia-Romagna immette 30 milioni di euro di supporto all’affitto, ma non in modo lineare, ma proporzionale al calo avuto col Covid. E questo per cogliere la differenza nella difficoltà di una lavoratrice/tore in cassa integrazione rispetto ad uno stagionale rimasto senza reddito perché non è arrivato il contratto che aspettava. Sono situazioni diverse, le misure devono essere commisurate ai bisogni delle fasce più fragili per accompagnarli ad una emancipazione, senza metterli in conflittualità. Era un piccolo esempio, ma la cura non finisce qui. Noi abbiamo altri drammi. Quello del lavoro di cura non pagato che grava sulle spalle delle donne. I giovani e le donne sono i più colpiti dalla perdita del lavoro, nonostante il blocco dei licenziamenti (che mi auguro perduri).  Sono loro che avevano i contratti più precari che hanno ereditato non dal caso, ma dalla crisi precedente, dalle politiche di lavoro introdotte. A livello della Regione stiamo cambiando pure quelle politiche; perché dal riscatto delle donne e dei giovani, passa il riscatto della comunità intera. Ne facciamo una questione di diritti e di parità di genere, ma per chi guarda soltanto con gli occhi dell’economia, secondo la Banca d’Italia con 60% di occupazione femminile, produrremmo 7 punti in più di PIL. 

La sfida di una vera transizione ecologica, di un vero green-deal

Avendo fatto cinque anni di esperienza a Bruxelles, non mi sfugge che quello che sta succedendo non sia affatto scontato. Eravamo in pochi a chiedere nel precedente mandato un grande green deal su basi diverse. Il cartello in Cile: non possiamo ritornare alla normalità…, dobbiamo migliorare e correggere, riducendo i divari sociali, di genere, territoriali, sanando le ferite e al contempo attuando una transizione ecologica che è ormai irrimandabile. Come? Come diceva Alex Langer, grande costruttore di ponti, portatore di speranza: la transizione ecologica avverrà quando apparirà socialmente desiderabile. E il motivo per cui l’eco-bonus se ben utilizzato può essere una misura giusta per ridurre le emissioni, ma anche per far risparmiare famiglie e imprese e di incentivare quelli che non sono ancora determinati sugli argomenti dell’emergenza climatica e della sua gravità.  In Regione, stiamo rendendo gratuito il trasporto pubblico locale per i giovani fino a 14 anni e vogliamo estenderlo fino a 19, non solo per far risparmiare le famiglie ma per investire in una mobilità altra, dolce, sostenibile, che non sia solo la scelta del mezzo privato. Stiamo iniziando un percorso di riforestazione, coinvolgendo cittadini/e, enti locali, scuole e imprese. Vorremo piantare 4,5 milioni di alberi e devo dire da quando sono partite le prenotazioni, già 470.000 piante sono state ritirate in meno di un anno. C’è una risposta. Comunque, non bisogna fare sconti e bisogna evitare il green-washing, che è un grosso rischio. Perché è vero che la Commissione Europea ha avuto il coraggio di non far cadere a pioggia questi 200 miliardi, ma di orientarli a tre priorità che richiamano la Agenda 2030 per lo sviluppo sostenibile, e che intrecciano i temi della Laudato Sì: transizione ecologia, trasformazione digitale equa, e coesione sociale.  Questa terza priorità è meno citata nel dibattito politico italiano. Nell’idea del Next Generation EU queste tre priorità sono intrecciate. L’ultima vuol dire infrastruttura sociale. Vuol dire investire sui nidi perché rende più solidi i percorsi di socialità dei più piccoli e al contempo contrasta le povertà educative, sulle quali abbiamo un grosso problema. Ma i nidi sono anche uno strumento fondamentale per aiutare la conciliazione dei tempi di vita e di lavoro e distribuire meglio il carico di cura all’interno delle famiglie, rendendo quel lavoro di cura non pagato, lavoro qualificato e retribuito in strutture di servizi. La strada sarà difficile. Adesso che ci sono le risorse, c’è anche il rischio di vederle utilizzate per operazioni che non sono esattamente d’accompagnamento vero alla transizione ecologica. Teniamo alta la guardia. Vale per chi come me è direttamente impegnata in politica e nelle istituzioni, ma non lo potremo fare senza un dialogo costante e di concertazione con tutte le parti sociali, con le associazioni che si battono per l’emergenza climatica. 

La sfida del coinvolgimento di tutte le parti sociali

Abbiamo firmato nel dicembre 2020 un Patto per il Lavoro e per il Clima fissando obbiettivi strategici. Tutte le parti della società devono fare il proprio compito. Le contraddizioni da superare sono tante, non mi sfugge, eppure si segna una volontà politica di provare a marciare in un’altra direzione. Le forze sociali ci insegnano questa via, mentre la politica è in estremo ritardo. Continua a volere dividere ciò che nelle piazze e nel pensiero già marcia insieme. Non mi convince l’idea che oggi serva un nuovo partito. È necessario attivare il processo in maniera collettiva. Le traiettorie individuali, tanto meno la mia, non possono determinare un cambio vero del corso della politica. Serve una mobilitazione collettiva che abbracci insieme queste sfide e che trasversalmente provi ad impegnare tutte e tutti a fare alcune cose concrete insieme, dentro e fuori la politica, dentro e fuori le istituzioni,trasversali alla società. Un percorso per cambiare davvero le cose. Altri mi sembrano già provati, poco efficaci. Non abbiamo niente da perdere se non che le cose potrebbero rimanere esattamente come sono. In un quadro politico insufficiente a raccogliere queste spinte, tra forti contraddizioni, i grandi contenitori sono respingenti, ma è altrettanto respingente la frammentazione delle forze della sinistra ecologista. Auspico di trovarci a metà strada, in un luogo dove condividere queste pratiche e portarle avanti insieme. Poi, le cose cambieranno. 

La sfida di agire e trasformare il livello politico e quello personale

Per Elly Schlein, rispondendo a Danilo D’Angelo, serve, da una parte un cambiamento radicale delle politiche e dall’altra la trasformazione dei comportamenti di ciascuno.  Non si può fare una conversione senza agire su entrambi i fronti, entrambi estremamente difficili. Devono andare insieme e non si riuscirà al di fuori di una ottica di percorsi concertati e partecipati, che coinvolgano la società,sia nelle sue espressioni formali che informali. Ieri era la giornata per il clima. Attori e attrici nuovi contribuiscono a cambiare il senso comune, la cultura. I ragazzi in piazza impongono cambiamento a casa, a genitori, fratelli, nonni. Si deve agire in entrambi i fronti per vincere la sfida della transizione. 

La sfida della giustizia di genere

Per Elly Schlein, rispondendo a Luigi de Giacomo, c’è un problema di stereotipi rispetto l’accesso alla formazione delle donne in tutte le discipline. Comunque, i dati OCSE per l’Italia non sono drammatici rispetto ad altri paesi Europei. Rimane che, anche formate e laureate, esse trovano ostacoli insormontabili nell’avanzamento delle carriere. Questo richiede strumenti normativi e culturali e una battaglia culturale in quei luoghi dove agire prima che diventino diseguaglianza (scuole, pubbliche amministrazioni). Agire sulle differenze non significa cancellarle, ma provare a trasformarle in valore. Insegnare il rispetto reciproco, il linguaggio inclusivo. Tante donne non colgono l’importanza di declinare al femminile le professioni. E un dibattito che non si vince a picconate, ma sedendosi al tavolo, per imparare. Ci sono altri luoghi di battaglia, come la chiusura del divario salariale e occupazionale. Su questo si possono fare delle politiche, come in altri paesi. Per esempio, far sì che le aziende che non rispettino la parità salariale non accedano a finanziamenti e appalti pubblici, come previsto da una legge francese. Poi c’è Il contrasto ad ogni forma di violenza, che mi sta a cuore. Questo significa sostenere i centri antiviolenza, che fanno un lavoro prezioso in tutta Italia. 

La sfida di una fiscalità giusta

Per Elly Schlein, rispondendo a Claudio Mazzoccoli, la questione della progressività fiscale è un problema gigantesco, non solo italiano ma europeo. Bisogna fare attenzione alle stime sull’elusione fiscale delle multinazionali nel continente europeo. Secondo uno studio richiesto dal Parlamento Europeo, essa gira intorno a 160-190 miliardi annui.  C’è un buco enorme, grazie pure ai paradisi fiscali in casa nostra. Varie risposte possono essere date. Una, nel dibattito interno ad ogni governo, è quella sul country by country reporting (CBCR,) un sistema che obbliga gli stati a richiedere alle multinazionali che attuano nei territori politiche fondamentali sulle filiali, profitti e tasse pagate in ogni sede operativa. Al Parlamento Europeo vincemmo la battaglia per chiedere pure dati fuori dal contesto europeo. Altrimenti i paesi in via di sviluppo non avranno mai la forza di esigerli. E una misura di trasparenza. Nessuna banca chiude per questa misura che al contempo fa vedere chi pratica l’evasione fiscale. Un’altra è una direttiva della base imponibile comune per stabilire un semplice principio: le tasse si pagano dove si fanno i profitti e non dove si decide sulla base d’accordi di tassazione anticipata con governi compiacenti. 

La sfida di costruire la transizione ecologica aldilà delle congiunture finanziere

Rispondendo a Ugo Mattei, che si riferisce all’illusione che i fondi UE per il rilancio creino le condizioni per una trasformazione strutturale, chiedendo di mantenersi nella concretezza, comprendendo che la transizione ecologica non è la promessa salvifica del giorno in cui avremmo i soldi per farla e che essa deve iniziare con una filosofia, anche della gratuità, Elly Schlein ha risposto che effettivamente i fondi UE non sono la panacea. Prima di tutto, è difficile quantificarne l’impatto. Comunque, invita a riflettere sul fatto che l’Italia non è nemmeno attrezzata per utilizzare ciò che sta arrivando. Mancano strumenti per rivoluzionare il modo di spendere,tenendo conto dell’impatto ambientale, sociale, economico e di genere delle progettualità. Senza investimento nella formazione di competenze nelle pubbliche amministrazioni si rischia di non avere la capacità di progettare il nuovo, dato che si dovranno osteggiare i progetti infrastrutturali che rischiano di essere soltanto green-washing. La battaglia è dura. Bisogna coinvolgere le comunità. Ognuno deve fare la propria parte.

La sfida di ricreare spazi naturali nelle città e di reinventare la cultura agricola

Per Guido Viale, per gli abitanti urbani c’è la sfida di fare rientrare l’agricoltura, la natura e la vita selvatica in città. E questo significa che c’è comunità, lavoro fatto insieme in orti comuni, ma pure la revisione dei criteri urbanisti coi quali si modellano le città, soprattutto la prevalenza dei criteri speculativi, che progressivamente portano alla soppressione degli spazi verdi, a favore della cementificazione, come sta accadendo a Milano. Poi c’è la questione della valorizzazione delle zone rurali. Questa è già in corso. Le comunità di persone che coltivano un territorio hanno messo in luce non solo i valori tradizionali da rivalutare, ma sperimentano nuove forme di cultura agronomica, assicurando la gestione ecologica della terra. Queste forme devono costituire un riferimento per la superficie agricola universale con ritorno all’agricoltura multifunzionale di prossimità. L’ostacolo è che la terra non è accessibile a tutti, soprattutto le terre che garantiscano un reddito, permettendo ai giovani, che sarebbero contenti  di abbandonare la città, che offre sempre meno socialità e più inquinamento, di vivere degnamente. 

La sfida di affrontare il debito pubblico

Guido Viale rispondendo a Elga Malossi sul fatto che i fondi europei del rilancio sono debiti che s’aggiungono al debito italiano esistenti, dice che se ciascuno aveva 35.000€ di debito a testa, includendo i neonati, la nuova liquidità lo farà salire a 40.000-45.000€. Il debito pubblico è un vincolo che si riproduce e aumenta ogni anno e lega il Paese a delle politiche imposte, sia dalla troika sia anche dall’interno, come l’attuale Presidente del Consiglio, che curai vincoli che accompagnano l’indebitamento. La questione è mettere in discussione almeno una parte del debito stesso che è illegittima e n va pagata, alleggerendo all’interno dell’attuale quadro istituzionale il peso che grava su ciascuno di noi. Dopo di che c’è una politica generale per affrontarlo, congelarlo o renderlo irredimibile. Il problema è trovare le forze per imporre questo, prima di tutto, una cultura economica che aiuti le persone a rendersi conto cosa c’è dietro dell’elargizione della Banca Centrale Europea, piuttosto che della Commissione Europea.

La sfida di pensare la trasformazione dal basso, dalle periferie

  1. Josthrom Kurathadam ricorda quello che disse Einstein: non si può risolvere un problema con la stessa mentalità che l’ha creato. Superare l’antropocentrismo domanda un’altra mentalità. Di nuovo, citando Einstein, se spariscono le api, in pochi anni, sparisce l’umanità, sparisce l’impollinazione, etc. Tutto è collegato. La conversione ecologica è pure una conversione culturale di ascolto: ascoltando l’altro mi lascio convertire. Non basta cambiare soltanto politica ed economia, ma anche la fede, che è vista da molti come un rapporto stretto con Dio. Questo non è. La fede deve abbracciare l’altro e il trascendente. Oltre a creare un nuovo paradigma includendo economia, politica, stili di vita, cultura, si deve costruire un movimento dal basso. Papa Francesco dice “la vera trasformazione comincia dal basso e dalle periferie”. Chi sono i protagonisti? Prima di tutto gli indigeni con la loro saggezza (non per caso Papa Francesco ha convocato il sinodo sull’Amazzonia). Poi, i contadini e quelli che sono vicini alla terra… Nella genesi è scritto: “finché torni alla terra”, non inteso come la tomba, ma come la vita. Dobbiamo tornare alla terra per vivere. Poi, giovani e bambini, grazie a loro il discorso sta cambiando. Poi le periferie, l’India, la Colombia, la Nigeria. Ma con la pandemia, le differenze si sono ancora accentuate. Il mondo ricco si vaccina, i poveri no. La cura domanda di pensarci come una famiglia. Il modello capitalistico è per pochi, mentre l’ecologia integrale richiede d’abbracciare tutti. Al Vaticano, dialoghiamo con le altre religioni, coi movimenti di donne, per creare una massa critica, perché non abbiamo tempo. Dialogare con i Gandhi d’oggi, quelli che contestano stili di vita non sostenibili: negli USA consumano l’equivalente di 5 pianeti/anno, in Europa 3.  “Beati i miti perché erediteranno la terra” (Matteo 5,5) … cambiare significa praticare l’eco-giustizia

La sfida di riconoscere e sostenere voci e azioni dei giovani

Per Giorgio Brizio, rispondendo a Elga Malossi, che chiedeva di parlare in modo semplice perché non tutti hanno la stessa cultura, ha risposto che non è un esperto. Ricordando i vari movimenti e azioni in corso, ha citato e invitato a firmare la petizione cittadina “Save bees and Farmers”, che richiede un milione di firme. Fridays for Future ha lanciato la campagna Ritorno al Futuro, perché con una serie di proposte, non è possibile che il futuro in Italia venga deciso dai settantenni. Non siamo capaci nemmeno di chiamare Next Generation EU, chiamiamo Rilancio. Alla domanda di come si è formata la coscienza climatica nelle scuole, Giorgio pensa che Greta Thumbergè un caso mediatico, ma che ci sono altri che hanno ispirato i giovani, come Vanessa Nakate, che ha avviato nel 2019 uno sciopero solitario contro gli effetti del cambiamento climatico in Uganda; il Movimento Zero Hour e la marcia su Washington (creato da Jamie Margolin), che ha ispirato Greta. La scuola è fondamentale per questi movimenti, ma Fridays for Future coinvolge anche adulti. Tante persone sono arrivate a Fridays for Future sentendosi sole e hanno scoperto che erano in tanti ad esser soli. Il movimento coinvolge persone che aspettavano che qualcosa arrivasse. Cosa facciamo adesso? Investire nella scuola è importante, ma è più importante sviluppare nella scuola la conoscenza sull’ambiente, non come un corpo estraneo, ma come qualcosa di cui siamo un tassello, ne facciamo parte integrante. 

La sfida di rivalutare il dono, i circuiti al di fuori di quelli mercantili

Per Nello De Padova, rivalutare il dono, creare dei circuiti al di fuori di quelli mercantili e rivalutare (non monetizzare) il lavoro non produttivo sono componenti di un nuovo paradigma. Rivedere la centralità che oggi diamo al lavoro. Non si tratta soltanto di parificare la donna all’uomo e quindi la retribuzione, ma che l’uomo faccia attività di cura aldi fuori del sistema produttivo. Le istituzioni danno importanza al lavoro retribuito, da tassare, perché funzionano coi soldi drenati nel sistema produttivo. Il cambio di paradigma è un’altra cosa. Pensare le istituzioni pubbliche come luoghi d’incentivo del contributo volontario, gratuito, del dono, nell’ambito di attività di cura. Riportare il Terzo settore a quello che era: un modo di strutturare il contributo gratuito delle persone, al contrario di quello che incentiva la normativa sul settore; creare nuovi posti di lavoro, sottopagati, immettendo delle risorse pubbliche per soddisfare bisogni che si esaudiscono attraverso canali normali. Un nuovo paradigma significa assicurarsi che tutti possano contribuire in una logica di servizio civile obbligatorio, come propone Francesco Gesualdi, con la sua proposta di detassazione del dono. La cura sarebbe erogata da ciascuno in maniera gratuita, volontaria, ma sentita come un obbligo morale verso la comunità, lasciando al lavoro retribuito e alla necessità di reddito soltanto una quantità marginale di servizi pubblici, come garantire una quantità di acqua, energia, casa gratuita a tutti quanti. 

La sfida delle solidarietà intra-territoriali 

Per Giusy Clarke Vanadia la ricchezza della Sicilia, patrimonio architettonico, ambientale e biodiversità è il problema. La costa è rovinata dalla cementificazione e violata dalle trivellazioni, discariche e quanto altro. Elly Schlein ha parlato di diseguaglianze. Ma nel 2016, sotto il governo Gentiloni, Emilia-Romagna, Lombardia e Veneto firmarono, a fine legislatura, l’accordo per le Autonomie Differenziate, chiamate pure di secessione dei ricchi. Il Presidente Bonaccini sostiene l’idea, la cui attuazione aumenterà le disuguaglianze già insopportabili tra Nord e Sud. 

La sfida di creare altri mercati che quello capitalistico

Per Paolo Messerklinger, si pensa che uccidendo il virus si tornerà come prima. È falso. La questione ora è come intercettare la massa di persone che si rivolge allo stesso mercato capitalistico di prima, per ritrovare lavoro sottopagato, da schiavi. Chi ha acquisito la consapevolezza dovrebbe potersi rivolgere ad un altro mercato, che magari non paga in denaro, ma crea l’entusiasmo culturale di sviluppare le proprie capacità lavorative, fisiche, di creatività. C’è tanta gente che non è più considerata dal mercato capitalista, sia perché ha competenze impossibili da pagare, perché vecchio o non facilmente condizionabile. Tentiamo di creare una rete per chi, disperato, risponde ad annunzi di lavoro sottopagati e potrebbe entrare in un altro mercato pagato in specie (prodotti agricoli, se lavora nel campo). Nel mio condominio dove tutti fanno parcheggi, ho fatto un orto che curo in maniera biologica. I condomini dicono: il tuo orto è brutto. Intercettiamo chi sta cercando di costruire qualcosa che non dà attenzione al capitale, alla spirale che conosciamo, ma alla vita, alla terra, all’amore per l’altro. L’altro che siamo noi. 

Per Pasquale Barba, nella casa comune chi sta bene può permettersi la sobrietà. Dovremmo agire per la riduzione dell’orario di lavoro con lo stesso stipendio. Questo significa inquinare di meno, creare nuovi posti di lavoro grazie alla digitalizzazione. Siamo stati incapaci d’offrire a chi ha avuto reddito di cittadinanza un lavoro per impegnarlo nella cura.

Per Ugo Mattei, lo spunto non è persuadere la classe politica a far questo o quello con soldi che sono comunque estratti dal sistema capitalistico con le conseguenze dell’estrazione, ma inseguire un cambiamento radicale di paradigma, come insegna l’economia integrale. Lanciando la cooperativa Generazioni Future l’obiettivo è di 1milione di azioni e 25 milioni di euro per iniziare a trasformare l’economia. Siamo organizzati in dipartimenti (politico, giuridico, etc…). Quello economico lavorerà anche sulle valute complementari, fondate su valore di uso piuttosto che di scambio, consentendo la valorizzazione dei “rifiuti del sistema capitalistico”, per usare il termine di Papa Francesco. Un rifiuto del capitalismo ha tutte le possibilità di mettersi al servizio degli altri. Un’economia di prossimità, con al centro territori e cittadini farebbe delle città luoghi più sostenibili. Reti di distribuzione di cibo tra città e zone limitrofi, sostenute da valuta complementare, di cura, porterebbero cittadini e circuiti fuori da dinamiche di controllo dalla finanza e da quello di questa sulla politica. Oggi la rappresentanza liberale non è in grado d’invertire il rapporto tra politica ed economia.  Per fronteggiare questi rapporti di forza si devono costruire istituzioni del comune, che non sono una vaga idea, ma una pratica. La proposta di Padre J. Kurathadam di costruire una rete, Laudato Sì,è interessante anche per offrire un reddito alle persone chi possono lavorare per produrre beni comuni. Questi vanno svelati, protetti e poi fatti crescere. Non si tratta di dipingere la panchina, ma di creare dei processi istituzionali coerenti con una rivoluzione paradigmatica, costruire un mercato alternativo al capitalistico, un mercato della solidarietà. 

Per Antonino Martorana, oggi, noi viviamo pensando non solo come far vivere una società industrializzata, ma come associarla alle pratiche ambientali, per creare una economia circolare, in sintonia con l’ambiente. Ma in Italia affrontiamo l’irrazionalità delle burocrazie. Queste sono ipertrofiche e sterilizzano la partecipazione, il confronto per stimolare pratiche nuove. 

A modo di conclusione

Ogni crisi è un kairos

Per P. J. Kurathadam, dalle crisi usciamo migliori o peggiori. Ogni crisi è un’opportunità ma non per ritornare alla normalità. La pandemia ha messo in evidenza i problemi ecologici ma anche sociali, diseguaglianze, ingiustizie. Come uscirne? Non basta creare lavoro, aumentando le emissioni e peggiorando l’ambiente. Bisogna invitare alla giustizia creando reti e processi. Dobbiamo essere strategici. Intorno a Laudato Sì abbiamo consultato esperti, università, indigeni, donne, etc., per creare una strategia di connessione intergenerazionali, global-nord, global South.  Per ogni progetto, di una scuola a Roma che diventa Laudato Si, chiederemo di camminare con una scuola in Congo; ad una parrocchia di Copenaghen con una in Sri-Lanka, alla diocesi di California con quella di Dacca in Bangladesh. Questo è collegarsi. Giustizia è quando si crea rete alla pari con un processo articolare concreto. E questo per poter rispondere alla domanda di figli e nipoti: cosa avete fatto? 

Un reddito universale per impegnarsi liberamente 

Per Guido Viale, una rete fuori mercato esiste già e funziona dove esiste una comunità, dei legami personali con la città, i quartieri, le aree rurali. Alla domanda se il lavoro di cura domestico deve essere remunerato, penso che tale retribuzione rischi di rinchiudere soprattutto le donne, perpetuando la situazione di subordinazione nella quale si trovano. Questo non vuol dire che va fatto gratis, rendendo obbligatorio il volontariato. Questo funziona se non costretto, come frutto di una scelta individuale e collettiva. L’alternativa è il reddito di base universale, che trasforma il lavoro in libera attività. Un reddito di base apre alla libertà di scegliere il da farsi e concordare la scelta con altri, di farne una operazione di costruzione della comunità e non solo individuale. Un filone del pensiero contemporaneo -operaisti, neo-operaisti, che hanno lavorato sul reddito di base-lo presentano come rimunerazione dovuta dalle compagnie big data in scambio dei dati che riguardano la nostra vita e che loro hanno fatto diventare business. Quest’idea perpetua il rapporto salariale. Il reddito di base deve essere rivendicato come diritto.  Chi ci ruba i dati sono grandi monopoli, chi deve garantire il reddito è lo stato o gli enti pubblici o una comunità alla quale apparteniamo. 

I presupposti per avanzare esistono nel dialogo fra tante realtà

Per Giorgio Brizio, c’è speranza. Certo, ci sono dei punti di non ritorno e i problemi dovranno essere fronteggiati nei prossimi 30,50, 100 anni. Ma iniziano ad esserci i presupposti per parlare in modo serio, tante realtà si mettono assieme e provano a fare rete. Tante persone hanno capito e provano a fare la differenza.  La sfida è fare rete per costruire qualcosa d’inedito assieme.

Gilda Farrell

 

Leave A Comment

  1. Cassandra 2 Giugno 2021 at 17:08 - Reply

    Buongiorno
    non posso fare a meno di sollevare un’osservazione in merito all’intervento di Viale ai “I beni comuni nel paradigma del capitalismo”: All’inizio del resoconto, nell’elencare i beni comuni vengono usati due soggetti a più riprese: salute e vaccini, come se questi fossero distinti e non complementari; l’acqua è sicuramente diversa, distinta dai vaccini ma necessaria per lo sviluppo della vita e quindi della salute della specie umana e di tutte le altre specie, altrettanto si può dire del suolo, che spesso nulla ha a che vedere con i vaccini ma fondamentale per lo sviluppo della vita assieme all’acqua e così per l’aria che respiriamo, noi e chi popola il pianeta, infatti tutti necessitiamo di ossigeno, in quantità diverse ma senza ossigeno niente vita o almeno non quella presente sul pianeta Terra
    La sottolineatura sui vaccini è evidente e forzata. Non sono una cosa a sé ma una piccolissima parte degli aspetti che riguardano la salute dell’uomo, ma che impatto hanno sulla specie umana e sulla sua salute? e su tutte le altre specie animali e vegetali? Sopra tutto quelli di nuova generazione che nulla hanno a che vedere con il termine vaccino dal momento che sono privi del patogeno ( che quando usato è reso inerme o morto) e/o dei suoi antigeni. Va bene che non dovrebbe esistere il monopolio su dei farmaci dal momento che hanno la funzione di curare e non di far fare profitto perché va da sè: se è per profitto non c’è buona fede e quindi non può esserci fiducia. La Salute è ben altra cosa!! Come mai lo stato ha così a cuore la salute dei cittadini da voler inoculare loro sostanze sperimentali per salvarle da un “agente invisibile” e allo stesso tempo vendere tabacco (visibile) ricavandone un lauto guadagno?? Ah… già in fondo fa la stessa cosa, in entrambi i casi non tutela la salute dei cittadini ma non c’è nemmeno nulla di che stupirsi, da quando l’homo sapiens ha preso l’abitudine di congregarsi ha sviluppato questo atteggiamento, evidentemente insito, di voler sfruttare i molti a vantaggio dei pochi che generalmente sono quelli che organizzano le “congreghe”. Perché invece non sono stati sottolineati e promossi gli aspetti fondamentali per la salute umana che nulla hanno a che vedere con i vaccini, ovvero: una sana alimentazione, ricca di fibre, vitamine, minerali e poco proteine animali ( non sono quello che si può definire vegetariano e o vegano), dell’attività motoria costante e non una tantum, relazioni sane e un forte sviluppo del senso critico che arriva da indagini continue ed esclusivamente personali perché diversamente sarà lo spirito critico di un altro che utilizzeremo e che a nulla potrà giovarci. Come potrei fidarmi di chi sponsorizza farmaci sperimentali ( pratica, quella della sperimentazione, tra l’altro condannata dal tribunale di Norimberga e che può trovare riscontro nell’articolo 6, comma c, del Patto di Londra e Statuto del Tribunale internazionale militare di Norimberga del 1945) e dice poi di interessarsi della mia salute, della Nostra Salute? Non è evidente il contrasto? La dissonanza cognitiva che scaturisce da questi due atteggiamenti è abnorme!! Utilizziamo prima le cure che CI SONO e che il magnifico ministro della sanità ha pensato bene di osteggiare addirittura ricorrendo al ricorso al Consiglio di Stato!! Non è forse anche questa un enorme, abnorme evidenza di mala fede ( le congreghe…) poi mi ripeto: SE I FARMACI VENGONO CONCEPITI E PRODOTTI PER LA SALVAGUARDIA DELLA SPECIE UMANA DOVREBBERO TUTTI ESSERE GRATUITI!!! E che non “si meni il can per l’aia” con l’andamento del mercato piuttosto che quello dello stravolgimento dell’economia perché in questo ultimo anno e mezzo l’andamento del mercato è andato a ramengo e l’economia a ……..
    Se la Salute è così fondamentale, se la preservazione di questa specie è così PRIMARIA, allora che la Sanità sia un Bene Comune completamento privo d’interessi e totalmente gratuito e ti voglio proprio vedere allora quanti si daranno da fare per il “bene dell’umanità e della sua salute”

Related Posts