di Luca Volpe
Una civiltà che sostiene l’importanza dei dati, va su ciò controllata per verificarne la coerenza, specie se insiste in modi anche veementi su questa strada: raccolta, divulgazione e studio di essi, sono un complesso d’operazioni che lavora sui livelli intrecciati di scelte brevi e pianificazioni lunghe. L’uso dei dati e la loro elaborazione intellettuale è uno strumento politico-sociale e socio-culturale strategico in un’epoca che vede progressivamente una crescita esponenziale dell’importanza dei media.
Nelle fasi acute della gestione dell’emergenza sanitaria e sul lungo periodo, l’uso e la diffusione dei dati sono stati decisivi per orientare le decisioni pubbliche, come il sentire comune e la creazione delle opinioni individuali ne sono stati influenzati senza scampo nella vita quotidiana; ma le scelte degli apparati politico-buracratico-amministrativi, in tutte le loro gerarchie territoriali, avevano una varietà d’opzioni che non sono state pubblicamente discusse, oscurando il dibattito fra le possibili alternative e instaurando approccio e conduzione della situazione molto rigido.
Si vuol credere nella buonafede di questi apparati: non è piacevole pensare che quelle scelte siano state dettate da approssimazioni, superficialità, ostinazione o (peggio ancora) fossero eterodirette; c’è però la ragionevole sicurezza che la raccolta ed elaborazione dei dati non sia stata adeguata alla gravità della situazione.
Non si tratterà in questo testo del livello di sofferenza (preesistente) del SSN, della crescente scoordinazione degli apparati pubblici, del liquefarsi progressivo del livello culturale della popolazione, tutti elementi che hanno contribuito al clima isterico e persecutorio denunciato anche da voci molto autorevoli, ma della visione che guida oggi la metodologia della raccolta dei dati. Viene effettuata secondo un processo che, partendo da un’esigenza definita, giunge alla produzione di numeri che qualifica un fenomeno; il loro uso s’innerva, tramite le politiche pubbliche, in decisioni che vengono applicate provocando consensi o dissensi. I media agiscono nella fase di comunicazione delle decisioni e nella creazione di consenso o dissenso.
Schematizzando il processo:
INDIVIDUAZIONE-PROGETTAZIONE-RACCOLTA-ELABORAZIONE-DECISIONE-DIVULGAZIONE-DIFFUSIONE-RICEZIONE-EFFETTO.
C’è una catena gerarchica nella raccolta dei dati: un committente raccoglie, si fa affiancare oppure incarica un’azienda privata, con grandi numeri di addetti nel caso di operazioni su campioni più ampi. Quest’ultima recluta e forma gli incaricati sul territorio (i rilevatori).
Schematizzando: PIANIFICAZIONE-RECLUTAMENTO-FORMAZIONE-ESECUZIONE.
Nella fase di formazione si possono individuare 3 aree di livello crescente d’importanza nell’attività di addestramento del personale: operativa, metodologica e politica; eppure l’importanza e la limpidezza della formazione su queste aree è progressivamente calante.
Gli elementi operativi, in apparenza neutri e specifici d’una campagna, possono risultare ad un esame attento già influenzanti l’esito definitivo. I criteri metodologici stabiliscono linee guida nella raccolta operativa che indirizzano il lavoro in modo più occulto. Completamente oscuro ai rilevatori è l’indirizzo politico della campagna, che da operazione apparentemente neutra si può svelare con esperienza diretta, confronto empirico e riflessione sui dati, come già predeterminata.
Le 3 fasi descritte possono talvolta fondersi in esempi riassuntivi: non è inusuale durante un’attività di formazione sentire frasi come questa rivolte ai rilevatori e ai loro coordinatori da parte di un committente: “non deve interessarvi la qualità del dato”. Apparentemente si tratta d’un modo secco e rapido per favorire la fluidità della raccolta e distinguerla dall’elaborazione, ma non è necessaria una conoscenza del settore per comprendere che ridurre il livello di coscienza degli operatori alienandoli dagli elementi più profondi dell’attività, la inficia suggerendo un atteggiamento freddo e meccanicistico che finisce per essere rigido, superficiale e parziale, alterandola.
Guardando con attenzione ai risultati più recenti di queste modalità, un esempio chiarirà i frutti di un tale sistema.
ISTAT nell’Ottobre 2022 ha diffuso un rapporto periodico sullo stato del lavoro in Italia. I dati più divulgati dai media riguardavano gli elementi positivi che sarebbero emersi dall’indagine: l’aumento degli occupati per genere ed età e il calo degli inattivi. Andando a leggere la nota metodologica, ISTAT definisce come occupati le persone fra 15 e 89 anni che nella settimana di riferimento hanno svolto almeno un’ora di lavoro o i temporaneamente assenti da esso.
Una simile metodologia trasforma persone sottoccupate e lavoratori occasionali, tutti con molta ansia per il futuro, in numeri che rassicurano l’opinione pubblica, dando l’idea di una piena occupazione che pare una caricatura di Keynes.
Entriamo ora nel vivo dei fatti recenti: le linee sopra descritte sono state seguite sull’epidemia che dura dal 2020. A proposito dei decessi, prima d’allora correva un periodo di circa 45 giorni di ritardo tra la data di evento e quella di diffusione dei dati comunali. Per diffondere i dati sul numero di decessi durante le fasi acute, sono stati incrociati i dati del Ministero dell’Interno per l’acquisizione dei dati ANPR (Anagrafe Nazionale della Popolazione Residente) con quelli del Ministero dell’economia e delle finanze per l’acquisizione del flusso dei deceduti risultanti dall’Anagrafe Tributaria. Si cita da quì in avanti l’Istituto: “Istat, ha inoltre messo a punto delle soluzioni organizzative e metodologiche che consentano di produrre stime ancora più tempestive, a livello regionale e di diffonderle con circa 15 giorni di ritardo”. Quindi non in tempo reale.
Per quanto ciò possa avere un’importanza non decisiva, non è un segno di trasparenza da trascurare in una situazione che veniva posta alla popolazione con aggiornamenti giornalieri.
“Una recente pubblicazione congiunta ISTAT e ISS ha fornito una stima dell’eccesso di mortalità per il mese di marzo 2020 analizzando i dati su 6.866 dei 7.904 comuni d’Italia.
In questo mese i dati hanno mostrato un aumento medio del 49,4%, ma con una forte variabilità territoriale a seconda del livello di diffusione del contagio.” Marginalmente si nota che non viene riportato circa l’11% dei comuni.
Quali sono i criteri metodologici o le necessità di quest’assenza nel campione?
Ma soprattutto: quale sarebbe questa “forte variabilità “e cos’ha comportato?
Se questa domanda inquieta, il seguente paragrafo può anche spaventare.
“Ad esempio, nel caso dell’Influenza, essa risulta conteggiata in queste statistiche se e solo se è stata certificata dal medico e se risulta essere la “causa iniziale di morte” in base alle regole internazionali di codifica. Se l’Influenza è presente sul certificato ma non è selezionata come causa iniziale di morte, viene codificata come “ causa multipla” ovvero tra le cause che hanno contributo al decesso.”
Il livello d’importanza delle domande sale: qual è la ragione della scelta di conteggiare in quel modo e soprattutto quali sono i criteri delle “regole internazionali di codifica” tenendo presente il clima di dubbio, se non discredito, attorno agli organismi che le producono? Qual è il confine fra una causa multipla e una principale sui morti per Covid e i morti da Covid?
Sono questioni capitali: sul numero dei decessi è stato costruito l’impianto complessivo di scelte politiche inaudite che hanno investito l’intera popolazione.
Se questi numeri si basano su criteri metodologici di certificazione sanitaria oscuri e di raccolta statistica ambigui, quale può mai essere il loro livello di adeguatezza per affrontare situazioni più complesse? Questo livello, così inadeguato, può giustificare uno stato d’eccezione?
Grazie..
La pertinenza della Conoscenza contro la “Loggia Scienza”.
Domande essenziali. Molto interessante
qual è stata la sentenza della corte europea (18 gennaio) sulla sospensione dei medici e di tanti altri? io non ho saputo nulla.