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Riceviamo su nostra richiesta e pubblichiamo un articolo di Marino Ramingo Giusti e Danilo Raimondo, su un certo principe russo di nome Kropotkin ” filosofo, geografo, zoologo, militante e teorico dell’anarchia russo. Libertario, fautore di un’analisi sociologica e di una proposta poggiata su basi scientifiche dell’evoluzione sociale nelle comunità umane, con una propaganda fondata sui fatti, è stato uno dei primi sostenitori dell’anarco-comunismo.”

 

 

Marino Ramingo Giusti / Danilo Raimondo

“Lasciando da parte le idee preconcette della maggior parte degli storici e la loro marcata predilezione per gli aspetti drammatici della storia, vediamo che i documenti stessi che essi normalmente studiano tendono a esagerare la parte della vita umana dedicata alle lotte e a sottovalutare i suoi aspetti pacifici.”

“I Cabili non conoscono nessun altro tipo di autorità oltre a quella della djemmaa, o assemblea della comunità di villaggio. Tutti gli uomini adulti vi prendono parte, all’aria aperta o in un edificio particolare fornito di sedili di pietra, e le decisioni della djemmaa sono prese all’unanimità: vale a dire che le discussioni continuano fino a quando tutti i presenti non concordano di accettare una soluzione o sottomettersi ad essa . Non essendoci un’autorità che imponga una decisione, questo sistema è stato usato dal genere umano ovunque vi siano state comunità di villaggio, ed è ancora praticato dove esse continuano a esistere, ovvero tra parecchie centinaia di milioni di uomini in tutto il mondo”

Pyotr Kropotkin, Il mutuo appoggio: un fattore dell’evoluzione, 1902.

Ecco lo sguardo inconsueto, diverso ed estremamente efficace con cui Kropotkin osserva il mondo.

Le kropotkiniane “comunità di villaggio” altro non sono che l’originaria (l’unica possibile?) forma di aggregazione sociale del primate umano.

Dovendo assumere decisioni collettive, e ancora in preistorica assenza del concetto di “rappresentatività” o peggio ancora “delega”, solo la forma assembleare era praticabile, e nel particolare di essa, solo la presa di posizione unanime garantiva il successivo equilibrio interno alla comunità, evitando ogni attrito da costrizione.

Così funzionavano (e funzionano) tutte le “convivenze civili” dei popoli tribali, così funzionavano i Liberi Comuni del XIII Secolo. Sudate, costipate, logoranti sedute interminabili di discussione, analisi, tentativi di sintesi, su come incanalare le acque, come risolvere diatribe tra famiglie, come migliorare la resa di alcune attività collettive, tutti portando il proprio punto di vista e tutti ascoltando quello altrui, non per competizione, ma per “vedere a più occhi” e “decidere a più cervelli”.

E solo quando ogni singolo appartenente alla comunità sia convinto della necessità di quella specifica risoluzione di un problema si può sciogliere il convivio, e tornare alla propria attività (non il “laborum” schiavile etimologico latino) o ai propri piaceri, se non addirittura vizi, quotidiani. Costretti al ragionamento, all’ascolto, all’espressione, alla presa di posizione, alla decisionalità, e Liberi proprio in ciò.

 

La comunità di villaggio nasce dalla antiche consuetudini, che sono prima delle leggi e che si sviluppano dal primitivo. Si tratta delle origini dell’etica e della morale, che per Kropotkin sono presenti anche nel mondo animale e si sviluppano dal mutuo appoggio. L’uomo trae vantaggio e mutuo appoggio dal gruppo, la sua poca forza individuale messa insieme ad altri offre tutti i vantaggi di una vita felice e prospera.

Le comunità di villaggio sono un un sistema sociale che cerca di risolvere i contrasti. Sono la soluzione in continuità con il sistema sociale dei cacciatori del paleolitico, dove per motivi contingenti non esistono gerarchie o specializzazioni e non c’è identificazione con il territorio, non esiste la proprietà, nemmeno della prole (i figli appartengono al clan). Si caccia insieme e si divide il cibo e si mangia tutti insieme, non c’è accumulazione.

 

Dovrebbe quantomeno incuriosire il fatto che digitando “Unanimitarismo” (anche nella sfumatura “Unanimismo”) nella ricerca di un browser “indipendente” come Firefox non compaiano che le definizioni da dizionario. Nessun riferimento alle implicazioni socio-filosofico-politiche di un tale concetto, per propria dizionaristica definizione stessa competente semanticamente proprio (e soltanto) il campo sociale.

Nascosti dietro il dito (messo non si può dir dove?) del capitalismo “democratico” (così come prima anche nelle “democratiche” repubbliche di stampo comunista), pare che il climax del concetto stesso di “democrazia”, quello che dovrebbe essere il traguardo più ambito (il pienissimo, totale accordo) sia tabu indicibile.

 

Per trovar tracce della sua rivendicazione, e addirittura della sua esistenza concettuale, bisogna visitare ameni siti asteriscati (e in qualche modo quindi isterici) di matrice decisamente “anarchista” (non va qui confusa, e non per antipatia per il secondo, ma per restare fuori dalle deduzioni pratiche dell’idea che vogliamo visualizzare, l’Anarchia con l’Anarchismo), i quali, opinabili e si auspica felici di essere opinati, gettano nello stagno frasi quali:

“L’indicazione metodologica relativa ai processi decisionali suggerita dall’approccio anarchico è precisamente quella assembleare, quella che nei manuali di filosofia politica figura sotto la dicitura di “democrazia diretta”: ogni decisione viene rimessa alle assemblee pubbliche a libera partecipazione che procedono non secondo maggioranza, ma secondo unanimità, ossia mettendo in atto strumenti di dialogo volti alla ricerca del consenso, nel rispetto del principio per cui “nessuno può imporre nulla a nessuno”.”  (www.intersezionale.com/2021/05/25/anarchia-le-ragioni-di-unidea/)

Ciò scrivendo, gli autori digitali a noi contemporanei riprendono le istanze di ormai due secoli di Anarchismo Sociofilosofico, spesso schiacciate dalla “clamorosità” dell’Anarchismo “d’Azione”, con i suoi eclatanti regicidi, la “boccia” (l’esplosivo) come frustrata arma dei cavatori di pietre schiavizzati dalla sottomissione ai sistemi monetari, e gli eccitanti incitamenti alla Rivolta di Bakunin e tanti altri.

Ma l’Anarchismo Sociofilosofico del Kropotkin zoologo, o qui in Penisola dei Malatesta, ha proprio nella ricerca dell’ “età dell’oro del rapporto sociale e comunitario” il suo distacco da ogni “agonismo politico” nel senso ormai incancrenito Occidentale (ed oggi Globale). Non nella “conquista della maggioranza” (e tanto meno dei “territori”, dei “mercati”…) ma nella ricerca della scelta concordata, universalmente integrante, mai escludente la posizione neppure del singolo individuo “refrattario”, ed anzi usandone la riluttanza come legittimo “DUBBIO” (termine che in questo contesto dovrebbe esser sensibile) da tenere in considerazione anche nella presa di posizione ad esso apparentemente contraria, sta l’avvicinamento maggiore (quello completo non ci è dato…) alla Verità e alla Giustizia, che trascendono le “parti”, per quanto numericamente o percentualmente vaste esse appaiano.

“Non è perciò tanto dal numero delle riunioni o dei voti socialisti che si può giudicare dell’intensità del movimento quanto dalla penetrazione di una concezione socialista nel movimento cooperativo, sindacale, municipalistico, così come dall’influenza delle teorie socialiste in tutto il paese. Posso aggiungere che il costante sforzo dei piccoli gruppi anarchici ha contribuito, in una misura che ci fa pensare di non avere perso il nostro tempo, a diffondere le idee dell’abolizione di ogni governo, dei diritti dell’individuo, dell’azione locale e del “libero accordo”, opposte a quelle dell’onnipotenza dello Stato, della centralizzazione e della disciplina.”

“Gli storici ci dicono spesso che questo o quel sistema filosofico ha prodotto un certo cambiamento nel pensiero umano, e in seguito nelle istituzioni. Ma questa non è la storia. I maggiori filosofi studiando la loro società non hanno fatto che afferrare gli indizi dei futuri mutamenti, ne hanno capito i rapporti intimi e, aiutati dall’induzione e dall’intuizione, hanno predetto quello che sarebbe avvenuto. Anche i sociologi hanno tracciato degli schemi di organizzazione sociale partendo da alcuni princìpi e sviluppandoli nelle loro conseguenze logiche, così come da pochi assiomi in geometria si arriva a una conclusione; ma questo non è sociologia. Non si può fare una giusta previsione sullo sviluppo di una società se non si tengono d’occhio i più tenui indizi di una vita nuova, separando i fatti fortuiti da quelli organicamente essenziali e costruendo la generalizzazione su queste fondamenta.”

Pyotr Kropotkin, Memorie di un rivoluzionario, Edizioni Anarchismo, 2016

 

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  1. Adelio Alquà 7 Giugno 2022 at 20:33 - Reply

    È bellissimo, ma è per gli ultra-uomini; noi viviamo ancora tra gli “ultimi uomini”. Ma in fondo quello che penso davvero è che dal mattino della Storia pochi galantuomini abbiano dovuto spartirsi il mondo con una quantità esorbitante di piccoli uomini voraci. La cosa fantastica è che siano sopravvissuti e non demordano.

    • dott. Ramingo 8 Giugno 2022 at 13:22 - Reply

      I “voraci” si sono mangiati la polpetta avvelenata in 3-4 dosi e ci lasceranno presto liberi dalla loro infame ingordigia.
      I “rimasti” dovranno saper unanimizzare i loro confronti, così come la Specie ha sempre fatto per decine di migliaia di anni, sino agli inizi del secolo scorso, nel sano lunghissimo libero “periodo buio” della Storia antecedente alla “luce ipnotica” dei pixel.
      Il gene ribelle non demorde mai, quello omologato scade, pur con tutti i conservanti artificiali che capitalismo possa produrre…

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