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Articolo del Dott. Enzo Vinci, membro della redazione della newsletter di Du.Pre. (Commissione Dubbio e Precauzione di Generazioni Future)

Fonte : https://www.mittdolcino.com/2022/12/30/comunicare-cosa/

5G, CHE COS’È?

È il nuovo standard per la comunicazione mobile, ideato per collegare ad alta velocità e bassa latenza (tempo di attesa per ricevere i contenuti, in formato di file multimediali) oggetti e persone in un’unica rete(permette di creare interconnessioni tra dispositivi, dando vita all’IoT, cioè Internet delle Cose(Things) – e in prospettiva all’Internet Of Bodies, ovvero internet dei corpi.

CHE COSA COMPORTA?

Installazione di numerosissime nuove antenne in prossimità di abitazioni, luoghi di lavoro e di ritrovo, in aggiunta a quelle esistenti del 2G, 3G e 4G (oltre al 4,5 G).Impennata dell’inquinamento elettromagnetico legata all’incremento dell’esposizione della popolazione alle radiofrequenze (RF) e difficoltà tecniche per il monitoraggio delle esposizioni generate da questa nuova tecnologia.

Esposizione a frequenze poco studiate e mai usate prima d’ora su larga scala. Il 5G potrebbe provocare effetti gravi e irreversibili agli esseri umani, e possibili danni a ecosistemi e insetti utili, alla flora e alla fauna, oltre che all’aumento di rischi per la privacy, per la tutela dei dati personali e per la sicurezza informatica, nonché ad interferenze con sistemi di previsione meteorologica di eventi avversi rilevanti (ad es. uragani) e di sicurezza per il volo, infine ai sistemi di rilevazione da parte dei satelliti, sullo stato del territorio terrestre e dei cambiamenti climatici.

QUALI RISCHI PER L’UOMO E PER L’AMBIENTE?

Il rapporto SCHEER (Comitato Scientifico Salute, Ambiente e Rischi Emergenti della UE) di dicembre 2018, pone l’accento sui rischi del 5G: “l’espansione della banda larga con radiazioni a RF di lunghezze d’onda ancora più corte desta preoccupazione poiché i rischi per la salute e la sicurezza sono sconosciuti”.

Numerosi ricercatori indipendenti hanno presentato due richieste alla Ue (Nyberg e Hardell 2017, Isde International 2018) e una al governo italiano (Isde Italia 2017) per bloccare l’implementazione del 5G, finché non saranno effettuati studi attendibili riguardanti l’impatto sulla salute umana e sull’ambiente.

Le radiofrequenze possono essere dannose per gli organismi viventi anche a livelli di esposizione inferiori ai limiti di legge. Centinaia di studi scientifici “peer reviewed” evidenziano rischi di tumori, danni al DNA, disturbi neurologici, alterazioni cardiache e del sistema riproduttivo, cambiamenti ormonali, sindrome di elettrosensibilità, deficit di apprendimento e memoria, disturbi del comportamento.

Nel 2018 due importanti studi sperimentali (New Toxicology Program USA, New York, e Istituto Ramazzini di Bologna) hanno correlato l’esposizione alle RF con l’insorgenza di tumori al cuore e al cervello.

CHE COSA SI PUO’ FARE?

Sensibilizzare gli amministratori pubblici affinché non accelerino l’implementazione del 5G sino a quando non si otterranno adeguate forme di tutela sanitaria e normativa.

Acquisire informazioni sugli effetti dell’esposizione a radiofrequenze sulla salute umana e sull’ambiente.

Il nuovo standard di trasmissione potrebbe da un lato costituire un’importante opportunità di sviluppo e crescita, a livello planetario, in particolare per la sua capacità di abilitare applicazioni avanzate proprie dell’Internet of Things – l’associazione mondiale dei gestori di reti GSM, GSMA, stima che le reti 5G potrebbero contribuire allo sviluppo dell’economia mondiale nell’ordine di circa $ 2,2 trilioni, tra il 2024 e il 2034, una crescita trainata da utilities e manifattura (33%), servizi professionali e finanziari (30%), servizi pubblici (16%), Ict e commercio (14%). Per quanto riguarda le singole aree geografiche, le stime indicano che la crescita maggiore interesserà gli Stati Uniti (oltre $ 650 miliardi), seguiti da Europa ($ 480 miliardi) e Cina ($ 460 miliardi).

E’ perciò di tutta evidenza che l’operazione è caratterizzata sotto un profilo soprattutto economico, rispetto a quello di un potenziamento della rete già esistente di telecomunicazioni.

Non a caso si porta ad esempio l’Internet delle Cose; tuttavia il tema degli investimenti è legato inevitabilmente anche al dibattito relativo alla sicurezza delle reti e particolarmente all’opportunità̀ di ricorrere alle tecnologie dei vendor extra-europei (Cina su tutti), per quanto concerne le apparecchiature, in considerazione del possibile impatto che eventuali restrizioni, connesse alla diffusione del 5G, potrebbero generare sugli stessi investimenti e sulla riduzione degli eventuali benefici – e soprattutto per la platea di utilizzatori.

Si assiste (come riportato dalla GSMA, a cui sono stati attribuiti compiti di valutazione e accreditamento , in qualità di principale associazione mondiale che raggruppa gli operatori di rete e commerciali, cosiddetti vendor ) al potenziale spostamento, da parte di molteplici settori industriali, di una quota crescente delle proprie attività su reti di nuova generazione.

Ed è evidente che ciò stia avvenendo in un contesto in cui la c.d. “minaccia cibernetica” mostra una relativa stabilizzazione. In questo contesto, molto interessanti appaiono le operazioni condotte dai maggiori organismi di standardizzazione internazionale, l’ETSI, il 3GPP e il GSMA. Questi ultimi, in particolare, sono al lavoro per implementare un insieme di standard di sicurezza internazionale, chiamati NESAS e SCAS, che presentano molteplici vantaggi sia per i fornitori di apparecchiature e gli operatori di rete, sia per i singoli Stati.

Se procediamo all’analisi degli impatti che potrebbe comportare la diffusione della ultima generazione di tecnologia di TLC mobili, alla luce del quadro normativo esistente, a livello planetario, concentrando l’attenzione sul nostro Paese/Nazione Italia, dobbiamo rilevare che fino ad oggi fortunatamente sul settore delle TLC sussistono alcuni vincoli
infrastrutturali, nonché quelli relativi ai limiti elettromagnetici.

Nelle più recenti norme sono state disposte (a dispetto di molte autorità locali, circa 600 comuni, che avevano bloccato con propri atti amministrativi la realizzazione di infrastrutture con standard di nuova generazione) da parte del Governo norme di semplificazione degli iter, contenute nel decreto Semplificazioni (D.L. n. 76 del 16 luglio 2020).

Tale Decreto ha introdotto il divieto per gli enti locali di introdurre limitazioni alla localizzazione, in aree generalizzate del territorio, di Stazioni Radio Base per reti di comunicazioni elettroniche di qualsiasi tipologia, nonché quello di incidere, anche in via indiretta o mediante provvedimenti contingibili e urgenti, sui limiti di esposizione a campi elettrici, magnetici ed elettromagnetici, nonché sui valori di attenzione e sugli obiettivi di qualità.

A riprova del fatto che in ogni caso la rete 5G influirà direttamente (e negativamente) sulla vita e sul benessere (secondo la definizione di salute data dall’O.M.S,) dei cittadini, si possono citare tra i primi settori quello della sanità e il comparto automotive.

Non sappiamo se la sicurezza delle reti di nuova generazione travalicherà il valore economico (in quanto potranno includere aspetti che non si limitano ad una mera quantificazione economica, ma ad esempio dovranno tenere in considerazione anche la pervasività dell’interferenza, in termini di protezione dei dati personali e sensibili, trattati dalle società del cosiddetto comparto delle aziende dette “Big Data”) che tradizionalmente si intende strettamente connesso alla sicurezza dei sistemi IT .

Per tali ragioni, la sicurezza di tali reti è divenuta e diverrà sempre più una questione di interesse governativo, ma soprattutto militare, e potrà essere complicata dal fatto che molteplici autorità (altre nazioni, enti internazionali, ecc.) vorranno imporre una serie di requisiti diversificati a diversi livelli e/o in diverse parti del mondo. Pertanto la sicurezza del 5G, in quanto standard globale, rischia di dover sottostare, oltre che ad una lunga serie di funzioni e parametri tecnici, ad un complesso e diversificato ambiente normativo, che travalica quello della singola Nazione/Paese.

E’ utile fare in tal senso un veloce accenno al D.L. 25 marzo 2019, n. 22 (c.d. “Decreto Brexit”),convertito con modificazioni dalla Legge 20 maggio 2019, n. 41, che ha esteso l’ambito applicativo dei poteri speciali (il c.d. “golden power”) alle reti 5G, prevedendo l’applicazione del meccanismo di tutela dello Stato anche alle forniture di materiali e servizi, e prevedendo l’obbligo di notifica in relazione a contratti o accordi aventi a oggetto l’acquisto di beni o servizi relativi alla progettazione, alla realizzazione, alla manutenzione e alla gestione delle reti 5G (che vedano coinvolti soggetti esterni all’Unione europea).

Si segnala inoltre il decreto legge n.105/2019 del 21 settembre 2019, convertito con la legge n.133/2019, con il quale è stato istituito il perimetro di sicurezza nazionale cibernetica.

Si tratta di un decreto che delinea un percorso attuativo frazionato con scadenze
temporali diversificate, attraverso quattro decreti del Presidente del Consiglio dei ministri ed un regolamento ( che dovrà definire gli aspetti più delicati, ad esempio le modalità e i criteri procedurali di individuazione dei soggetti inclusi nel perimetro di sicurezza nazionale cibernetica e che, pertanto,saranno tenuti al rispetto delle misure e degli obblighi previsti dal decreto-legge).

Si dovranno anche declinare i criteri con i quali i soggetti inclusi nel perimetro predispongono e aggiornano l’elenco delle reti, dei sistemi informativi e dei servizi informatici di rispettiva pertinenza, compresa la relativa architettura e componentistica, disciplinando le procedure di notifica degli incidenti, l’attività del CVCN e le attività di ispezione e verifica di MISE e Presidenza del Consiglio.

Il governo italiano, in relazione ai picchi di connessioni, generate sia da un aumento del telelavoro che del tempo speso dagli utenti privati su portali di streaming e piattaforme videoludiche, nel decreto Cura Italia (Art. 82 – Misure destinate agli operatori che forniscono reti e servizi di comunicazione elettroniche) ha chiesto alle aziende del settore di adoperarsi in urgenza per potenziare le infrastrutture e garantire la stabilità delle reti, onde far fronte all’emergenza. Dal punto di vista della “resilienza”, la rete nazionale è comunque riuscita a gestire il sovraccarico senza recare grandi disagi all’utenza.

In occasione di quanto accaduto per l’emergenza sanitaria dovuta a Covid-19, i principali operatori del Paese, nel corso delle audizioni al Senato (in vista di un auspicato – dalle aziende – recepimento del Codice europeo delle comunicazioni elettroniche), hanno espresso le proprie perplessità riguardo gli eccessivi vincoli burocratici che stanno rallentando l’iter di ottenimento delle autorizzazioni per investire sulle infrastrutture 5G.

Tra le diverse criticità, oltre alla necessità di attuare nel più breve tempo possibile la legge sul perimetro di sicurezza nazionale cibernetica, si è posto l’accento sull’importanza di uniformare la normativa italiana sulle emissioni a quella dell’Unione Europea, e sulla semplificazione delle norme che regolano interventi e installazioni, non sempre omogenee su tutto il territorio nazionale, al fine di evitare l’insorgere di gap tecnologici tra un’area e l’altra del Paese.

Dal lato invece degli utilizzatori si osserva che il tema del digital-divide, ovvero dei gap tecnologici tra varie aree del Paese ( en passant, si nota che una sorta di “ divide -et impera-” è insito nella stessa natura della tecnologia digitale, che permette la comunicazione a distanza in mancanza di alternativa fisica, più connaturata agli esseri umani, di tipo sociale, in un contesto fisico e reale, e pertanto riducendo tutto alla sola “tele-comunicazione”, comunicazione a distanza, si produce indiscutibilmente una tendenza all’isolamento degli individui) è in corso una febbrile attività di progettazione collegata alla concessione di prestiti all’interno di accordi tra la UE e le nazioni europee, finalizzati ad investire ingenti risorse economiche, per “digitalizzare “ l’Italia (con la progettualità relativa al Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza, al cui acronimo abbiamo ormai fatto l’abitudine – P.N.R.R.).

Gli allarmi sull’inquinamento elettromagnetico da telefonia mobile.

Si definisce “inquinamento elettromagnetico” o “elettrosmog” (di cui si è occupata sia in passato ma soprattutto negli ultimi anni, la letteratura scientifica e specialistica) quel fenomeno fisico legato alla generazione di Campi di Radio Frequenza, elettrici, magnetici ed elettromagnetici, non attribuibili al naturale fondo terrestre, o a eventi naturali (quale ad esempio può essere un campo elettrico generato da fulmini).

Si tratta di fenomeni originati artificialmente, in seguito alle emissioni di impianti realizzati per trasmettere informazioni attraverso la propagazione di onde elettromagnetiche (impianti radio-TV e per telefonia mobile), oppure prodotti da impianti utilizzati per il trasporto e la trasformazione dell’energia elettrica dalle centrali di produzione fino all’utilizzatore in ambiente urbano (elettrodotti), o anche da apparati per applicazioni biomedicali, o infine da impianti per lavorazioni industriali o da tutti quei dispositivi il cui funzionamento è subordinato a un’alimentazione di rete elettrica (tipico esempio: gli elettrodomestici).

Lo sviluppo delle telecomunicazioni sta creando grande interesse in tutti i settori per la
possibilità di nuove applicazioni, ma sta anche aumentando la preoccupazione per gli effetti non ancora del tutto noti sulla salute, al punto che sia a livello nazionale sia internazionale si registra una mobilitazione crescente contro l’introduzione del 5G.

Ciò in quanto gli scenari che si apriranno con lo sviluppo del 5G modificheranno probabilmente il livello di esposizione complessivo della popolazione a seguito di importanti cambiamenti nell’architettura della rete. È importante, quindi, adottare un approccio fortemente cautelativo, in linea con quanto messo in evidenza dalla ricerca scientifica, che in casi dubbi si richiama sempre al “principio di precauzione”, nonché ad un’idonea comunicazione del rischio e minimizzazione dell’esposizione della popolazione a tali emissioni di radiazioni non ionizzanti (le ricerche scientifiche più recenti dimostrano che anche le radiazioni non ionizzanti, come quelle usate dal 5G, a lungo andare possano provocare danni al DNA, quindi non tanto a livello termico quanto a livello biologico, data la natura delle cellule umane, la cui principale componente è l’acqua, che risente della componente vibrazionale dei campi elettromagnetici).

Alcuni studi scientifici hanno suggerito che l’esposizione ai campi elettromagnetici generati dai dispositivi digitali, possano avere effetti nocivi per la salute (cancro, riduzione della fertilità, perdita di memoria e cambiamenti negativi nel comportamento e nello sviluppo dei bambini).

E’ innegabile che lo stesso essere umano sia una sofisticata e delicata macchina elettromagnetica, che vive di segnali, frequenze, codici di riconoscimento: in tutto questo non ci si può non chiedere come interferiscano i campi elettromagnetici esterni e in particolare la tecnologia mobile – abbreviata in 5G – sul corpo umano.

Molte tra le persone che hanno ormai sentito parlare del 5G, pensano che sia una semplice evoluzione delle tecnologie precedenti: il 2G, il 3G, il 4G, etc., e che perciò sia innocuo. In realtà, si tratta di una tecnologia del tutto diversa, che avrà un impatto notevole per svariate ragioni, non ultima la somma tra quasi tutte le precedenti tecnologie a quella di quinta generazione, nell’ambito della cosiddetta rivoluzione industriale 4.0.

Peraltro non è neppure vero che un telefonino 3G (UMTS) sia meno pericoloso di un 2G (GSM), come molti credono: infatti, nonostante la potenza emessa dal 3G sia minore, vi sono già evidenze epidemiologiche e di laboratorio che mostrano come il danno al DNA e il rischio di tumore al cervello con l’UMTS sia maggiore.

Il 5G, una volta a regime, funzionerà prevalentemente con delle antenne “phased array” (cioè “matrice a fasi”) anche a 24-26 GHz, ovvero con frequenze altissime. Un singolo array potrà contenere, ad esempio, qualcosa come 64 antenne che collaborano insieme per costituire un’emissione direzionale, cioè un potente fascio di radiazioni dirette verso l’utente.

Le antenne 5G hanno, in alto, elementi emittenti anche a 3,5-3,6 Ghz, e sotto l’array appena descritto (che terrà il collegamento con l’ “Internet delle Cose”: dal frigorifero che dirà al lattaio di portare il latte perché è finito ad altre applicazioni del genere, fino alle auto che si guidano da sole). Il 5G avrà un segnale forte e ubiquo, perché non deve succedere che un’automobile che viaggia a 80 o 100 km/h non abbia informazioni su dove andare.

Questo significa coprire tutta l’area cittadina ed anche fuori di essa con un campo elettromagnetico, che è molto più alto di quello che abbiamo attualmente. Secondo i rappresentanti delle aziende che hanno illustrato la situazione che si verrà a creare nella trasmissione Report di Raitre del 27/11/18, già solo nella fase iniziale sarà indispensabile quasi triplicare il numero di antenne attuale, il che significa che in Italia passerebbero dal numero attuale di circa 60.000 a 180.000. È probabile che anche gli operatori faranno pressioni nel senso di aumentare i limiti attualmente in vigore, magari usando i pareri di organismi solo all’apparenza indipendenti.

Si potrebbe dire: “Va bene… , e allora ? ”, se non fosse che a partire dal 1995, parallelamente con la crescita di antenne della telefonia mobile, si è assistito a una crescita quasi esponenziale del numero di persone diventate elettrosensibili da un giorno all’altro, le quali in alcuni Paesi rappresentavano già nel 2005 il 10% della popolazione. Una percentuale significativa di costoro vive una “non vita”, tanto che alcuni arrivano perfino a suicidarsi. L’elettrosensibilità è un effetto a breve termine dell’esposizione ai campi elettromagnetici, ma vi sono poi tutta una serie di effetti sanitari a lungo termine – tumori al cervello, infertilità maschile, malattie neurodegenerative, etc. – di cui finora stiamo vedendo solo la punta dell’iceberg, proprio perché si manifestano dopo vari anni.

La crescita esponenziale del numero di persone elettrosensibili nei vari Paesi avanzati coincide con gli anni del boom della telefonia mobile; nonostante i campi elettromagnetici siano noti da quando si usa l’energia elettrica, quindi da circa un secolo, tuttavia sono cresciuti in maniera abnorme negli ultimi 30-40 anni, quando alle emissioni a bassa frequenza tipiche di elettrodotti e linee elettriche si sono aggiunte quelle ad alta frequenza tipiche della radio, della televisione, dei radar, degli impianti radio-ricetrasmittenti, delle stazioni radio base della telefonia mobile, dei telefoni cellulari e dei cordless, dei router e degli hotspot Wi-Fi, dei sistemi di comunicazione usati dalla domotica (Bluetooth, Z-Wave, ZigBee, etc.), per non parlare di tutta una serie di impieghi minori di cui quasi non ci accorgiamo più: dai baby monitor fino alle porte anti-taccheggio dei negozi.

I campi elettromagnetici a bassa frequenza prodotti dalle linee di trasmissione elettrica hanno un cambiamento di polarità di 50 volte al secondo, che induce pertanto delle correnti all’interno degli organismi che ne sono investiti. Tanto che l’Agenzia Internazionale per la Ricerca sul Cancro (IARC) nel 2011 classificò i campi magnetici a bassa frequenza come possibili cancerogeni per l’uomo – invece che “cancerogeni certi “ – perché all’epoca non c’erano ancora gli studi sugli animali che nel frattempo invece sono stati pubblicati.

Le ricerche svolte in laboratorio sugli animali hanno permesso di capire che i campi alla frequenza di rete (50 Hz) sono co-promotori del cancro, ovvero non lo provocano di per sé, tuttavia ne favoriscono lo sviluppo in presenza di un agente carcinogeno ambientale, come suggerito da vari studi, non ultimo quello esemplare del 2016, eseguito dall’Istituto Ramazzini di Bologna. Le evidenze scientifiche dei danni prodotti dai campi elettromagnetici a radiofrequenza sono state in tal senso ancora meglio determinate e ormai sono diventate molto ben comprese.

Ad esempio, sono stati fatti studi approfonditi come detto sia dall’Istituto Ramazzini a Bologna sia dal National Toxicology Program degli Stati Uniti, che hanno colmato la lacuna di conoscenze del 2011, e che potrebbero permettere presto di stabilire ufficialmente che le radiofrequenze costituiscono cancerogeni certi per l’uomo, la cui esposizione dunque è da evitare ai cittadini.

Secondo un recente studio, pubblicato online nel 2018 dalla rivista peer-reviewed Journal of Environmental and Public Health, in Inghilterra nel decennio 1995-2015, è stato riscontrato un aumento sostenuto e molto significativo nell’incidenza del Glioblastoma Multiforme – il tumore cerebrale più aggressivo e rapidamente fatale – nel corso dei 20 anni esaminati e in tutte le fasce d’età, mentre i tassi per i tumori di gravità inferiore sono diminuiti, mascherando questa drammatica tendenza nei dati complessivi.

E risultati simili si sono riscontrati anche in Svezia, con molti tumori cerebrali di tipo nuovo diagnosticati già nella fascia di età fra i 20 ed i 40 anni. E questo solo per citare due Paesi per i quali sono disponibili studi con i dati più recenti, che forniscono quindi meglio il quadro reale della situazione e del trend in atto. I tumori cerebrali sono a crescita lenta e possono richiedere decenni per svilupparsi dopo l’esposizione tossica. Ad esempio i tassi di cancro ai polmoni nella popolazione generale non aumentarono fino a più di tre decenni dopo che gli uomini americani avevano cominciato a fumare molto. Pertanto non deve stupire che per ciò che riguarda l’incidenza dei danni collegati all’emissione di radiazioni da campi elettromagnetici non si sia ancora registrato un boom di casi nella popolazione generale: semplicemente non c’è stato ancora abbastanza tempo, come ammettono off-records gli esperti, e come la recente ricerca dell’Istituto Ramazzini sembra confermare, al di là di ogni ragionevole dubbio.

Negli Stati Uniti i tumori del cervello e del sistema nervoso centrale rappresentano però già il tipo di cancro più comune nella fascia di età 15-19 anni, come mostrato da una dettagliatissima analisi pubblicata nel 2015. I tumori del cervello e del sistema nervoso centrale (CNS) rappresentano il tipo di cancro più comune nella fascia di età 15-19 anni fra i giovani americani, secondo una approfondita analisi sui tumori cerebrali. (fonte: Ostrom et al., 2016) .

La soluzione sarebbe quella di far transitare tutto via cavo, comprese le linee telefoniche. Il cellulare andrebbe conseguentemente considerato come una preziosa “radio di emergenza”, da utilizzare quando siamo in pericolo per qualche motivo, ma non per sostituire la conversazione via filo (mentre oggi l’andamento è esattamente l’opposto).

I rischi di tumore cerebrale sono 4 volte maggiori in chi usa i cellulari e tale legame è dimostrato. Non stupisce, quindi, che un neurochirurgo dell’Università di Roma abbia dichiarato pochi anni fa, che nel loro Istituto una volta operavano un tumore cerebrale al mese, o ogni 20 giorni, mentre adesso operano tutti i giorni. In Italia abbiamo un limite di esposizione della popolazione alle radiofrequenze (di emittenti radio-televisive, torri della telefonia mobile, ponti radio, vari apparati di telecomunicazione fissi, etc.) fra 6 e 20 V/m, ma – come era stato preannunciato in tempi non sospetti dal biologo Fiorenzo Marinelli – l’ICNIRP chiede di elevare questo limite di esposizione a 61 V/m.

Tenendo conto che il fondo naturale della Terra al quale gli apparati biologici si sono evolutivamente abituati (fino al 1940 circa) è di 0,0002 V/m, e che dal 2007 si è registrata un’impennata della densità di potenza nell’ambiente urbano, è di tutta evidenza che è stato profondamente cambiato l’ambiente. Il limite di legge attuale è stato pensato guardando ai soli effetti termici e considerando che non esistano effetti per la salute umana al di sotto della soglia termica di 61 V/m – stabilita dall’ICNIRP – la quale provoca un forte riscaldamento.

In Italia grazie al professor Livio Giuliani – un esperto di livello internazionale degli effetti dei campi elettromagnetici e già dirigente di ricerca dell’unità radiazioni dell’ISPESL – quando si discussero i limiti di legge da attuare, si riuscì a far approvare un criterio di precauzione fissando la soglia a 6 V/m per gli ambienti con permanenze delle persone superiori alle 4 ore, quali ad esempio abitazioni, scuole, etc. Tuttavia, grazie agli studi degli ultimi anni, sappiamo che questi 6 V/m attuali non sono sufficientemente cautelativi e andrebbero ulteriormente ridotti.

Come spiegato dal già citato prof.Marinelli, ricercatore che ha lavorato quasi una vita al CNR di Bologna, occupandosi degli effetti biologici dei campi elettromagnetici, “ il paradosso più grave è che questa legge (il decreto n.381 del 1998) escludeva dal suddetto limite di esposizione gli apparati mobili, cioè i telefoni cellulari, che successivamente furono classificati attraverso un sistema molto complicato che è quello del SAR, fissato per l’Europa in 2W/Kg , e che viene autocertificato dalle case che producono i telefoni cellulari.

Per ottenere dentro un manichino (usato per stabilire il SAR) i 2 W/kg, bisogna emettere da fuori un campo di 307 V/m. Quindi, affermare che un telefono cellulare rispetta la normativa di 2W/Kg è come dargli una licenza d’uso a 307 V/m ! “Perciò è un’assoluta assurdità !”

L’O.M.S. e l’ICNIRP dicono: limite di legge 61 V/m. Il limite di 6 V/m in Italia – come già sottolineato, uno dei valori più bassi a livello internazionale – non tiene conto degli studi indipendenti, i quali dicono che bisognerebbe scendere almeno a 0,2 V/m.

Tuttavia visto che i telefoni cellulari sfuggono a questa limitazione, si può intuire che i limiti di legge siano stati “costruiti” per gli effetti termici immediati; diversamente irradiare una persona con 2 V/m praticamente per tutta la vita fa, molto probabilmente, un danno ben maggiore di quello causato dalla esposizione occasionale ai 6 V/m stabiliti dalla legge.

Inoltre, come spiega Giuliani : “ a differenza di quello che pensa l’uomo della strada, gli effetti delle Radio Frequenze non dipendono solo dall’intensità delle emissioni, ma anche dalle loro forme d’onda, frequenze e fasi “.

Nel 2011 con la risoluzione n.1815 del Parlamento Europeo venne data un’indicazione precisa: “bisogna diminuire al massimo l’esposizione dei cittadini, perché esistono evidenze di possibile danno”. Non solo, ma con le conoscenze attuali non dobbiamo più parlare di principio di precauzione – come si faceva alcuni anni fa quando non si conoscevano le moltissime informazioni, qui sinteticamente esposte, soprattutto relativamente agli effetti biologici e sanitari delle onde elettromagnetiche ad alta frequenza ed a bassa frequenza – bensì dobbiamo parlare di principio di prevenzione, perché oggi “sappiamo” che le onde elettromagnetiche sono potenzialmente dannose.

Infine va sottolineato il conflitto d’interessi potenziale che può influenzare pesantemente la conoscenza scientifica in questo delicatissimo settore. Un grafico ( realizzato dal Dr. Henry Lai dell’Università di Washington) mostra che, se gli studi scientifici non sono finanziati dall’industria, vengono rilevati effetti dei campi elettromagnetici a radiofrequenza per il 70% e non sono trovati per il 30%. Viceversa se gli studi sono finanziati dall’industria questo genere di effetti prodotti dai campi elettromagnetici vengono rilevati solo per il 32%, mentre non si trovano per il 68%.

Ciò rappresenta plasticamente (in percentuali) il paventato “conflitto di interessi”, quello che in forma esplicita l’industria sembra favorire, finanziando pubblicazioni scientifiche che servono a “bilanciare” quelle ottenute da scienziati indipendenti o operanti nel settore pubblico. Purtroppo, come osservato dal prof. Angelo Gino Levis, a cui si deve la storica sentenza del tribunale di Ivrea sulla relazione fra neurinoma e uso del cellulare “oggi una gran parte della scienza subisce un processo di ‘secolarizzazione’ cioè di immobilità”. Certe posizioni ufficiali sono ferme da 60 anni, nonostante le conoscenze scientifiche sull’argomento siano enormemente progredite. Inoltre, quando si ha a che fare con un problema nel quale sono coinvolti interessi planetari – e oggi quelli delle tecnologie che comportano la produzione e l’utilizzo di campi elettromagnetici, come la generazione di elettricità e la telefonia mobile, superano quelli che in passato erano tipici ad esempio dell’industria automobilistica – i conflitti di interesse possono influenzare in maniera determinante le conoscenze scientifiche, la normale dialettica fra i ricercatori e, in ultima analisi, l’informazione che arriva al grande pubblico

Molti cittadini pensano che alcune Istituzioni pubbliche possano, nonostante tutto, proteggere il cittadino, ma potrebbe non essere proprio così. Infatti, la voglia di deregolamentare il settore con una varietà di norme e di interpretazioni sempre più “ larghe “ è stata ed è, in questo settore, più forte di quella di stabilire dei limiti di legge cautelativi e di farli in qualche modo rispettare. Inoltre, le leggi nazionali che regolano l’installazione di nuove antenne sono state via via semplificate a favore degli operatori di telefonia. Le nuove normative sulle misurazioni, poi, sono tali che le ARPA non riescono a fare rilievi di routine con valore legale. Ed i Comuni non hanno più in mano strumenti legislativi efficaci per poter imporre qualcosa agli operatori. E quando l’ultimo baluardo rimasto è costituito – come in questo caso – solo da giornalisti e scienziati, allora la situazione appare davvero critica e preoccupante.

Già subito dopo l’approvazione della legge quadro in materia di esposizione ai campi elettromagnetici, è iniziato un percorso di progressivo allontanamento da parte istituzionale rispetto a posizioni di protezione e cautela, a discapito della tutela della salute. La parabola discendente corrisponde in qualche modo ad un progressivo allontanamento dalle tesi di Livio Giuliani, di certo non voluto da lui, che prevedeva la possibilità di intervenire direttamente con le prerogative che la legge comunque gli attribuiva, nel ruolo di dirigente dell’ISPESL (Istituto Superiore Per la Prevenzione e la Sicurezza sul Lavoro), l’organo che aveva espresso l’atteggiamento e la posizione più cautelativi nei confronti dei campi elettromagnetici. E infatti l’ISPESL è stato eliminato – o meglio accorpato nell’INAIL – rendendolo di fatto “innocuo”.

Come osservato in un convegno “Stop 5G” dalla dr.ssa Fiorella Belpoggi, biologa e dirigente dell’Area Ricerca del prestigioso Istituto Ramazzini di Bologna: “l’industria chimica e quella delle automobili non possono mettere sul mercato un prodotto senza aver prima fatto degli studi per appurare se ci siano degli effetti sulla salute; alla telefonia mobile invece ciò non è mai stato chiesto. Anche tale industria, invece, dovrebbe essere obbligata a seguire un certo percorso, altrimenti sostenibilità e salute –parole di cui ci siamo riempiti la bocca in questi anni –‘vanno a farsi friggere’ ”.

Il problema, inoltre, è che in Italia, per guadagnare dalle licenze sulla concessione delle frequenze radio-televisive, lo Stato ha reso gli operatori e i gestori di telefonia mobile, di fatto, concessionari privati di un servizio. Ed abbiamo visto con il “caso Autostrade” cosa ciò comporti nel caso si verifichi un “imprevisto” e si renda opportuna una revoca.

Pertanto esiste un quadro completo e aggiornato delle evidenze scientifiche che si potrebbero scoprire: tuttavia moltissime cose non si sanno semplicemente perché, da una parte, non c’è l’interesse a farle conoscere al grande pubblico, e dall’altro perché solo guardando alla foresta nel suo complesso e non ai singoli alberi si può realmente capire la portata e la grande importanza di queste tematiche.

Il tutto raccontato così come emerge dalle ricerche degli ultimi anni, che stanno ribaltando completamente il rassicurante quadro di qualche anno fa, dando finalmente certezze che richiedono interventi a tutela della salute dei cittadini e della loro libertà. Come dice il già citato prof.Marinelli in una slide che mostra nelle sue conferenze in giro per l’Italia “irradiare una persona senza il suo consenso andrebbe considerato un crimine !”

Probabilmente, se così non fosse, si capirebbe che si tratta di temi tanto importanti e tuttavia poco noti, mentre sarebbe del tutto evidente che ogni cittadino dovrebbe essere al corrente di tali informazioni, per poter compiere le proprie scelte in maniera informata; esattamente come quando decidiamo di fumare oppure, al contrario, di non fumare, per non mettere a rischio la nostra salute e quella dei nostri figli. L’analogia col fumo non è casuale, e non solo per il lungo periodo di latenza fra esposizione e sviluppo del cancro. Tutti abbiamo visto delle radiografie con i danni che esso provoca ai polmoni. Ebbene, vari studi recenti hanno costantemente riportato un aumento della permeabilità della barriera emato-encefalica e un deterioramento cognitivo dopo l’esposizione a campi elettromagnetici a radiofrequenza, confermando i risultati pionieristici di Leif Salford e colleghi (Persson, Salford et al, 2012), che per primi dimostrarono come l’esposizione alle radiazioni dei telefoni cellulari provochi nei ratti , e nel giro di sole 2 ore, dei “buchi” in questa fondamentale barriera fra i vasi sanguigni ed il resto del cervello.

Ciò permette l’accesso di sostanze chimiche tossiche nel cervello, e può in parte spiegare perché molte persone elettrosensibili siano affette anche dalla cosiddetta “Sensibilità Chimica Multipla (MCS)”. Infine, risulterà chiaro che è assai importante conoscere il livello di elettrosmog nel proprio ambiente di vita (casa e ufficio), e soprattutto l’intensità prodotta dal proprio smartphone, posto che con il traffico-dati attivo molti apparecchi emettono valori elevati di radiazioni h24, se non vengono spenti.

Da ultimo non si può non sottolineare il rilevante contributo alla conoscenza in materia, che stanno offrendo scienziati esperti come Fiorenzo Marinelli (biologo, già ricercatore Molecolare del CNR di Bologna, dove ha condotto per molti anni diverse ricerche sugli effetti biologici della radiofrequenza emessa dai telefoni cellulari, dai radar, dal Wi-Fi e da altri dispositivi mobili, pubblicate su riviste internazionali peer-reviewed). Marinelli è stato ricercatore del Centro Interuniversitario di Ricerca per lo Sviluppo).

Oltre a quest’ultimo, tra i più noti scienziati in materia, occorre citare il dr. Mario Menichella (fisico, già dell’Istituto Nazionale di Fisica Nucleare), il dottor Maurizio Martucci (giornalista investigativo, per la sua opera costante di divulgazione, attraverso i cosiddetti “social”, essendo osteggiata, per ovvie ragioni, la sua presenza sui mezzi di comunicazione sociale di massa), il prof. Livio Giuliani (già dirigente dell’Istituto della Prevenzione e la Sicurezza del Lavoro), la dottoressa Fiorella Belpoggi (dirigente Area ricerca del Ramazzini), la dottoressa Patrizia Gentilini (medico di pediatra oncologica e componente del comitato scientifico di ISDE, Medici per l’Ambiente, nonché recentemente del Comitato Scientifico Nazionale). Tra gli altri si possono citare da ultimo, ma non per questo meno importanti, Luigi Poderico (ingegnere elettronico, già dirigente presso un gestore di telefonia), Valerio Cinti (fisico, Centro ricerche Enel di Pisa), Paolo Orio (medico e presidente dell’Associazione Italiana Elettrosensibili, AIE).

Concludendo, è fondamentale l’applicazione responsabile del principio di precauzione, al quale in Europa si richiamano esplicitamente sia l’Agenzia Europea per l’Ambiente di Copenaghen, sia il Centro Europeo Ambiente e Salute dell’Organizzazione Mondiale della Sanità di Bonn, che prevede di adottare misure di riduzione dell’esposizione umana ad emissioni elettromagnetiche, in attesa di ulteriori studi e ricerche scientifiche, che riducano le attuali incertezze e lacune delle conoscenze.

In attesa di nuove certezze, o della riduzione dei margini di dubbio sugli effetti dannosi sulla salute umana, è necessario perseguire la riduzione delle esposizioni, con una corretta pianificazione delle nuove stazioni radio base, a cura dei Comuni e sottoposte al controllo istituzionale delle Agenzie Regionali per la Protezione dell’Ambiente (che lamentano la mancanza di idonei strumenti di rilevazione dell’elettrosmog, provocato dalla somma delle emissioni elettromagnetiche degli impianti già esistenti a cui andranno a sommarsi, nella maggior parte dei casi, le emissioni provenienti dagli impianti di quinta generazione di telefonia mobile – da notare che si progettano già impianti di sesta generazione!).

Peraltro, essendo stata inconfutabilmente accertata anche la pericolosità (in caso di elevate esposizioni ad emissioni, per lunghi intervalli di tempo) delle frequenze finora utilizzate per la telefonia mobile – che coincidono con due di quelle che verranno utilizzate per il 5G, e cioè banda dei 700 MHz e banda dei 3.600 MHz – sarebbe oltremodo opportuno restare entro i valori di attenzione cautelativi (campo elettrico di 6 V/m).

Così come per tornare ad un assetto maggiormente ispirato al principio di prevenzione, sarebbe opportuno modificare l’art. 14 del Decreto Sviluppo “Ulteriori misure urgenti per la crescita del Paese” (che impose la misurazione dei campi elettromagnetici sulla media di 24 ore invece che sulla media dei 6 minuti, nelle ore di maggior traffico telefonico), norma approvata dal Governo Monti.

Non c’è dubbio che sarebbe oltremodo utile effettuare una ricerca indipendente, sia epidemiologica sia sperimentale, sulle onde millimetriche del 5G a 26 GHz, al fine di verificare l’esistenza di potenziali impatti negativi sulla salute umana ( sia con ricerche di laboratorio, sia per mezzo di un contestuale sviluppo di monitoraggi), rilevando sia i dati prodotti dai flussi informativi sanitari disponibili a livello microterritoriale, sia quelli prodotti dai medici di medicina generale e dai pediatri di libera scelta, distinguendo tra effetti a lungo e a breve termine, con particolare attenzione ai potenziali effetti patologici, e alle malattie che colpiscono bambini e adolescenti, e persone che accusano sintomi vari , rientranti nella patologia riconosciuta come IHS, iperelettrosensibilità .

Lo sviluppo della tecnologia IoT (Internet of Things), resa possibile dall’adozione della tecnologia 5G, provocherà un aumento di dispositivi wireless , e contestuali sorgenti di campi elettromagnetici, rispetto agli attualmente esistenti. Tra dispositivi Wi-fi di uso domestico (i più critici in quanto a rischio di prolungata esposizione) ricordiamo gli hotspot e i router , i dispositivi bluetooth (smartphone e comuni notebook), la somma di tutte le emissioni prodotte da essi rischia di farci vivere immersi in un pericoloso “ brodo elettromagnetico “.

 

 

 

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  1. dottor Ramingo 5 Gennaio 2023 at 14:42 - Reply

    L’Antenna Babele va abbattuta da tutti noi, senza scomodare Dèi.
    Disertare il Sistema, denudarsi il più possibile da ogni tecnologia, e ostacolare in ogni modo possibile i fedeli della Chiesa Digitale nel parossistico compimento dei loro rituali (post, like, tiktok, moneta digitale, acquisti online, compilazione di identità digitali e burocrazie annesse).

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