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DEMOCRAZIA E BENI COMUNI – Sintesi del Forum Tramandare del 13 febbraio 2021 (il dibattito è stato segnato dall’insediamento del governo Draghi, il 12/2/2021)
La contrapposizione destra-sinistra va rielaborata alla luce del paradigma di beni comuni
Aprendo il Forum, Ugo Mattei osserva che abbinare ecologia e libertà sfida la nozione di libertà borghese perché introduce l’idea di dovere e,dunque,un elemento dialettico forte all’interno del quadro del costituito. Il cuore della questione è come potrebbe funzionare un sistema democratico che vuol avere al centro l’ecologia? Potrebbe esso utilizzare le coordinate della modernità borghese, della rappresentanza democratica, costitutiva delle istituzioni con le quali operiamo tuttora? In effetti, quel modello politico-sociale è stravolto. Il rapporto privato-pubblico è radicalmente mutato rispetto a quello che è servito a teorizzare la politica ed elaborare gli assetti istituzionali con i quali si opera ancor oggi. Per la prima volta si sperimenta una sproporzione abissale tra privato e pubblico, così come l’incapacità democratica di controllare la tecnologia, soprattutto quella della comunicazione che significa molto di più che internet o i social. Significa l’intero sistema attraverso il quale il capitalismo si auto-rappresenta, facendo a meno delle tradizionali dinamiche della democrazia e del diritto. E questo perché siamo in un mondo determinato da rapporti di fatto, prendere o lasciare, a differenza di quelli declinati negli ultimi 50 anni.
Di fronte a questa evoluzione, la contrapposizione della rappresentanza borghese, destra-sinistra, che è stata la chiave di riferimento della riflessione e della prassi politica, deve essere sottoposta ad un vaglio critico importante. I beni comuni ci danno una chiave d’interpretazione, non legata al positivismo della modernità, ma ad una fenomenologia più complessa, del contemporaneo, dove la contrapposizione destra-sinistra finisce per funzionare come un dividi ed impera. La contrapposizione che va elaborata, con coraggio, è quella tra la moltitudine e i pochi. L’oligarchia dominante e la massa di quelli che sono stati ridotti prima a consumatori e poi a merci e, ora, brancolano nel buio senza un punto di riferimento. Tale contrapposizione,e l’emancipazione delle masse popolari, che è stato il tema della sinistra storica, oggi sono decisivi. Il capitalismo si è tolto la maschera. L’iconografia di questa crisi (insediamento del governo Draghi) è illustrativa. Al vertice del governo si trova il leviatano del governo finanziario e ai suoi piedi, la politica. Quest’ultima ha accettato che qualsiasi interpretazione, anche in controtendenza rispetto ai modelli di austerità, sia fatta dalla finanza e non dalla dialettica. E tutto ciò dopo che la pandemia ha dimostrato una capacità d’incidenza delle istituzioni sul corpo reale della società molto più forte di quella che si poteva credere.
La pandemia ha svelato come un Primo Ministro (Conte), seppure con DPCM e altre formule,abbia potuto incidere sul corpo sociale, precisando il modo d’agire su degli aspetti che sembravano essere stati naturalizzati dalla sfera economica e non da quella politica. La pandemia ha messo in evidenza che,seppur impropriamente, il governo influisce su ciò che sembrava essere la naturalizzazione dei rapporti di forza. La reazione a questo “poter essere” è il governo Draghi, che mette la finanza in alto e la politica ai piedi del leviatano, una sorta di provvidenza per mantenere la modernità. La contrapposizione destra-sinistra va urgentemente rivista con una elaborazione politica seria dei Beni Comuni.
L’oblio della costruzione dell’egemonia del pensiero unico significa perdere l’autonomia e la capacità di elaborazione critica, indispensabili alla democrazia.
Per Nichi Vendola, l’insediamento del governo Draghi corrisponde alla giornata dell’oblio, alla cancellazione di quello che è accaduto in Italia negli ultimi 20 anni. Una specie di tabula rasa che assume l’ideologia della fine dell’ideologia, la fine degli schieramenti politici. L’ideologia della falsità delle alternative. Ciò che nella scena politica viene rappresentato come destra, sinistra e centro convergono in una operazione di naturalizzazione del dominio tecnocratico sulla politica. Il suicidio della politica viene politicizzato e l’entusiasmo con cui essa accoglie il proprio commissariamento è inquietante. L’unificazione del pensiero dei grandi gruppi editoriali, la difficoltà di esprimere un dissenso che non sia quello della retorica sovranista e xenofoba a cui ci hanno abituati. Un momento in cui un’opzione di epoca si rappresenta come una necessità, il liberismo come se fosse la pelle della storia, lo sbocco naturale. Con il dovuto rispetto alla persona, Mario Draghi è una specie di bene monumentale, la sintesi di un patriottismo sublime che dimentica tutto. La condizione della sanità, che la pandemia ha rivelato, risulta dalla demolizione del welfare e la privatizzazione della sanità, che ha avuto in Lombardia la sua scuola fondatrice: investire su un sistema ospedale-centrico nel deserto dei servizi socio-territoriali. Questo esprime un modello di società. Nel nome della pandemia, della emergenza economico-sociale si accantona qualunque coscienza sul come l’egemonia neoliberale e il pensiero unico siano stati costruiti, ciò che Luciano Gallino chiamò ironicamente il grande intellettuale collettivo[1], un dominio esercitato col consenso di quelli che sono sottomessi, opposto all’intellettuale collettivo gramsciano.
Tale conquista totalitarista inizia nel 1947 con la Mont Pelérin Society, un piccolo gruppo di intellettuali -essenzialmente nord-americani ed europei- il cui obbiettivo polemico era il keynesismo e la motivazione, quella di distruggere la legittimazione dello stato sociale, dell’universalismo dei diritti di cittadinanza[2]. Quell’intellettuale collettivo della destra economica ha progredito, ha guadagnato spazi nei consigli d’amministrazione e nei governi, fino a diventare egemone a partire degli anni 80, con la rivoluzione reaganiana e thatcheriana.
Ricordare per capire
È indispensabile avere dagli autori di questo passaggio della storia della Repubblica, un di più di spiegazione. Capire cosa fu la crociera del Britannia del 2 giugno 1992[3], quando il gotha dei banchieri, finanzieri e imprenditori, anglo-americani, tedeschi e italiani, decisero la svendita del patrimonio pubblico italiano, il più grande passaggio di proprietà della storia italiana. Tale riunione fu introdotta dall’allora direttore del Ministero del Tesoro, Mario Draghi[4]. In questa giornata dell’oblio, l’altra vittima sacrificale è la lettera del 5/8/2011 dai due direttori della BCE, quello uscente (Trichet) e quello entrante (Draghi), imponendo al governo Berlusconi le condizioni per un’azione di salvezza. Tra queste, la riforma della pubblica amministrazione (forse scritta da Renato Brunetta),quella del lavoro con l’abolizione dell’art. 18 del Codice (portato a perfezionamento da Matteo Renzi) e la privatizzazione dei servizi pubblici locali. Queste indicazioni avrebbero dovuto suscitare una eversione a tre mesi del referendum, nel quale 28 milioni di persone votarono no alla messa all’incanto dei beni comuni: acqua, energia, etc.
La sinistra di fronte alla costruzione del pensiero unico e l’egemonia del mercato
Se avessimo la forza di prendere la sinistra come un corpo solo, bisognerebbe scuoterla per domandarli cosa è successo dall’inizio del nuovo millennio ad oggi, da quando il movimento di critica della globalizzazione era il più importante del mondo, perché era pacifista e chiedeva la riconversione ecologica dell’economia. Cosa è successo da giugno 2011, quando gridammo giù le mani dall’acqua? È successo che il progressivo suicidio della sinistra si è inverato nella supina accettazione di questa subalternità al primato dell’economia, la quale si è inchinata al primato della finanza. La vera dannazione della sinistra italiana non è stata la nascita del partito comunista, come ipotizza Ezio Mauro[5], ma il cedimento della propria autonomia intellettuale a quella narrazione del mondo costruita dalla grande cultura neoliberale.
L’urgenza di pensieri critici-autonomi. Scongiurare la minaccia di trasformare i beni comuni in caricatura e la transizione ecologica in commedia
Non si può ignorare questi elementi di storia che la retorica populista ha trasformato in una specie di letteratura grottesca. Il culto della semplificazione retorica proprio alla destra sovranista, ma anche al Movimento 5S, ha tolto spessore alla verità storica di passaggi che esibivano la natura del potere reale. La critica al limite del negazionismo della scienza ha prodotto come risultato una versione acritica, non del pensiero scientifico, ma dello scientismo, cioè della mitologia del primato della scienza[6]. Noi abbiamo bisogno di pensieri critici.
L’idea che i beni comuni siano una specie di sentimento, un elemento sovrastrutturale che ha che fare con le passeggiate ecologiche della domenica,sconfessa l’urgenza del ripensamento radicale del modello di uso e consumo del territorio, del modello di costruzione delle relazioni sociali, di sviluppo. Nel nome della transizione ecologica, di quella declinata dalla destra, siamo al punto più buio della storia della politica, della sinistra. Se ci fosse la sentinella della bibbia, farebbe fatica a scorgere qualche raggio di luce.
Il compito di qualsiasi sinistra di fronte ad una sconfitta epocale e non elettorale, come diceva Gramsci, è quella di interrogarsi sulle sue ragioni profonde. Il governo Conte due non era il sole dell’avvenire, non rappresentava neppure una coalizione progressista, ma era una allusione ad una possibile alleanza, ad un campo progressista. Con il blocco dei licenziamenti, il reddito di cittadinanza, i ristori, aveva presso la crisi dal lato della carne viva della sofferenza sociale del paese. Il populismo penale dei 5S è un tratto forte, la difficoltà a sincronizzarsi sui legami tra diritti umani e stato di diritto di pezzi di questa coalizione era faticoso, ma era terreno di lotta egemonica. Questa allusione progressista (come nel 2010-11) viene semplicemente seppellita. Siamo ad una caricatura grottesca del leninista-consiglio d’amministrazione della borghesia.
Il pericolo più grande per i beni comuni, per l’ambientalismo, per l’ecologia, è di diventare la maschera letteraria con cui si prova a nascondere la verità. E come quando nel ciclo economico i grandi inquinatori appaiono come i possibili disinquinatori, tenendo insieme il ciclo inquinamento-disinquinamento, mentre ce bisogno di un punto di svolta e non d’aggiungere al business mortifero quello della correzione di ciò che era mortifero. Il che fare oggi è legato al pensare, al ricostruire una autonomia di pensiero. Non essendo neanche in grado di identificare la storia di M. Draghi, siamo ad un punto di caduta grave della autonomia intellettuale.
L’influenza dei beni comuni nella configurazione dei movimenti sociali progressisti
Per (diritto all’oblio), il rapporto tra movimenti sociali e beni comuni riguarda due tipi di discorsi dei movimenti di sinistra, quello sui diritti sociali e quello sulla democrazia. I beni comuni hanno corrisposto ad una evoluzione su entrambi i livelli. Riguardo ai diritti sociali, Luc Bolstanki, allievo di Pierre Bourdieu, identifica due tipi di critiche da parte dei movimenti progressisti: a) la critica di mancanza di inclusività, dal movimento operaio ad altri movimenti, la cui principale rivendicazione è stata quella dell’espansione dello stato sociale; b) lo sviluppo del capitalismo ha dato luogo ad un’altra critica, che Bolstanki e Chiapello[7] definiscono come estetica o artistica, legata alla dimensione della partecipazione democratica. La seconda critica che è venuta dai nuovi movimenti sociali che guardavano alla dimensione della gestione -management delle pratiche di diritti sociali- tra di essi, il movimento femminista, interessato non solo all’inclusività del welfare, ma anche ai processi decisionali e ai contenuti dei diritti in un welfare imposto dall’alto. Il concetto di beni comuni ha oltrepassato questa dicotomia, permettendo di combinare la critica sociale con quella artistica (possiamo dire democratica,). I beni comuni,avendo un valore particolare per la comunità, sono diventano tanto più centrali quanto più i movimenti per una giustizia globale, negli ultimi 20 anni, hanno riportato al centro la questione sociale insieme alla partecipazione dal basso.
Riguardo alla democrazia, si individuano due filoni di spinta critica dei movimenti progressisti. Il primo, più tradizionale e inclusivo, con la richiesta di espansione del suffragio universale ai più poveri, alle donne o ai cittadini non dotati di nazionalità, cioè il diritto a votare, che gli studiosi hanno caratterizzato come ampliamento delle soglie di ingresso nel gioco democratico. L’ampliamento della rappresentanza democratica, come la conosciamo oggi, è frutto di lotte per conquistare diritti che rimangono importanti. L’altro filone ha posto l’accento sulla partecipazione come decisiva per la qualità della democrazia. In sua assenza, la rappresentanza perde di qualità. I movimenti dal 68 in poi, e anche quelli operai, identificano il concetto di democrazia e di politica come coinvolgimento dei cittadini a tutti i livelli decisionali (Carol Pateman), cioè aldilà delle istituzioni elettorali. In Italia, i movimenti progressisti hanno rivendicato infatti diritti di partecipazione nei consigli di quartiere, scuole, ospedali.
I movimenti per i beni comuni hanno connesso i due filoni sui diritti sociali e la partecipazione democratica: creare interazione tra partecipazione e rappresentanza e spazi per fare diventare ricchezza la diversità.
Il discorso sui beni comuni emerso dal referendum sull’acqua va aldilà di rappresentanza e partecipazione. Esso sottolinea il bisogno che le decisioni vengano prese non dall’alto, dalla politica istituzionale, ma attraverso il coinvolgimento di cittadini, utenti e lavoratori. Questo elemento, chiamato commoning, commons o bene comune, è importante nella evoluzione dei movimenti recenti, sia quello per una Giustizia Globale[8], con la strategia dei Forum, da cui sono nati il Forum per l’Acqua Pubblica,che per quelli che lo hanno seguito. Inoltre, diventa importante nei movimenti anti-austerity, con le acampadas degli indignados, l’idea di partecipazione che supera quella rivendicata nel passato, propria della democrazia associativa, per ampliarla alle persone comuni, ai cittadini,non solo come portatori di diritti, ma anche di idee. Tali movimenti sono fondamentali nello sviluppo della critica allo scientismo di cui ha parlato Nichi Vendola. Essi riconoscono il valore della conoscenza -come altri che nel passato hanno creato arene di incontro per generare conoscenza-affermando comunque che essa non è propria solo degli scienziati. La scienza è fatta di controversie e richiede spazi dove i cittadini esprimano le proprie conoscenze. Nel Movimento Acqua Bene Comune questa dinamica è stata rilevante nella creazione della rete di comitati locali, che hanno elaborato una diversità di proposte.
Agire al di fuori delle istituzioni, un elemento di speranza
Considerare la dinamica locale ci salva da una visione totalmente pessimista, rispetto ad una realtà istituzionale presente non certo favorevole ad una evoluzione nella direzione dei beni comuni. Permette infatti di sottolineare il valore di azioni che vengono condotte aldilà delle istituzioni e di riflettere sul concetto di politica come costruzione dal basso. La possibilità di creare azioni prefigurative, anche all’esterno dei processi di democrazia rappresentativa, è una componente dei movimenti recenti, che implica tensioni interne ma che è anche forte ricchezza. Questo è stato importante nella storia della sinistra italiana, dove è difficile pensare alle trasformazioni avutesi in termini di ampliamento dei diritti, senza valutare la forza dell’opposizione e non solo quella del governo. In Italia, dove non si è avuto nessun governo di sinistra, neppure a livello delle social-democrazie o dei governi socialisti nel sud d’Europa, la capacità di pressione dall’esterno è stata fondamentale. A partire della storia dei movimenti in Spagna, Portogallo e Grecia, possiamo ritenere possibile che, al di fuori delle istituzioni, si riesca a conquistare uno spazio decisionale, partendo dal livello municipale o locale. Il riconoscimento di questa dimensione, di ciò che si può fare da fuori, si abbina al contempo alla tensione e al desiderio di trovare dei canali per entrare dentro le istituzioni.
La politica istituzionale confusa frena il consolidamento dei movimenti
Ci troviamo in Italia con un governo Draghi che rappresenta uno spostamento a destra, anche rispetto al governo precedente. Esso ha una pretesa di tecnicità, di fatti molto poco reale[9], dato che il livello tecnico è alquanto basso. Per spiegare perché l’Italia dei social forum, o del più forte partito comunista in Europa occidentale, cioè l’Italia con una tradizione di sinistra, sia arrivata a questo punto, bisogna guardare alla evoluzione storica più o meno recente. Spesso si dice che siamo in un periodo di individualismo, di mancanza di capacità di aggregazione, però in questo stesso periodo, e nonostante quell’individualismo si è consolidato Podemos in Spagna, Syriza è andato al governo in Grecia, in Portogallo c’è stato un governo socialista sostenuto dal Bloco de Esquerda. Perché in Italia questo tipo di evoluzione non c’è stata? Anche in Italia abbiamo la presenza di movimenti e reti. A differenza degli altri tre paesi del Sud, c’è stato un movimento anti-austerity diffuso,che è rimasto però molto frammentato a fronte di una politica istituzionale confusa dove si è persa la differenza tra (centro) destra e (centro) sinistra. Dal governo Monti al governo Draghi la dimensione politica delle decisioni pubbliche è stata negata. Nonostante questo, abbiamo in Italia movimenti che si sono riattivati o hanno continuato ad essere attivi nel 2019, a fronte di una grossa ondata di proteste internazionali (Cile, Libano, etc.), ma anche che si sono mantenuti attivi durante la pandemia. Molti movimenti presenti, nei quali partecipano i giovani, come Fridays for Future, e anche Black Lives Matter, sono innovativi nelle forme di azione, cercano di riprodurre spazi di democrazia partecipativa e di confronto. Il periodo è di resistenza al neoliberismo e questo è un elemento di ri-politicizzazione.
I beni comuni racchiudono un’idea di autodeterminazione dei cittadini che partiti e democrazia rappresentativa invece strangolano
Per Mosè Vernetti, la capacità di risposta dei partiti al movimento dei beni comuni è molto debole. Facendo riferimento ad un testo di Silvia Federici[10], Vernetti ricorda che la popolarità dei commons è legata alla crisi della forma Stato. Pensare di poter cambiare il mondo, trasformando lo Stato, significa attribuire allo Stato una esistenza autonoma. Ma oggi siamo piuttosto abituati alla dipendenza dello Stato dalle esigenze del mercato. Il nuovo governo Draghi di facciata tecnica (nato dopo che il 34% dei voti andati al Movimento 5S,tre anni fa, manifestava delle rivendicazioni ben precise)si affida al mercato e rinuncia al suo ruolo costitutivo, quello di costruire fiducia tra i cittadini, per dei valori, dei principi, delle ispirazioni. In un momento di crisi, questo tipo di governo ascolta di più la paura degli investitori, delle aziende e delle multinazionali. Essi ricevono supporto dei contribuenti, per dare nulla in cambio a crisi finita.
Il ruolo dello Stato e dei Partiti nella politica dei beni comuni si fonda su un principio di delega, nel rispetto dell’autonomia e la capacità di decisione dei cittadini. Delegando la propria sovranità al mercato, i governi agiscono in modo opposto alla autodeterminazione e l’autorganizzazione dei suoi propri cittadini. Quindi, Stato e istituzioni non incentivano la risposta che deve venire dal basso. Questo aspetto è importante per ragionare sul significato dei beni comuni, che è diverso dai beni pubblici. Negli ultimi decenni, bene pubblico significa proprietà pubblica, amministrata da uno Stato che esercita una proprietà di facto di beni che appartengono ai cittadini, e che per di più possono alienarli ai privati, anche danneggiando la finanza pubblica. i.e., l’ufficio del sindaco di Londra (City Hall) appartiene al Fondo d’Investimenti di Kuwait[11] e l’affitto rappresenta 12,6 milioni di sterline all’anno. Una consultazione iniziata da poco,per traslocare l’amministrazione della città all’est di Londra, immagina di poter risparmiare sull’affitto.
Citando Gheddafi e il suo Libro verde[12], prima dalla deriva autoritaria del suo governo, Vernetti ricorda che lui aveva definito la democrazia come “la supervisione delle persone da parte delle persone”, supervisione per la salvaguardia del bene comune, dell’auto-organizzazione. Gheddafi vede nel governo il principale problema politico che si affaccia alle comunità e il Parlamento come una falsa soluzione di democrazia. Una organizzazione dei partiti che non rappresentano la volontà popolare. Il Parlamento rappresenterebbe una soluzione democratica quando le alternative sono le monarchie o i regimi dove la gran parte della popolazione non ha voce.
Potremmo allora considerare la democrazia come l’arte di supervisionarci e di autogovernarci, e utilizzare la macchina dello Stato per proteggere i beni comuni, gli interessi dei cittadini. Qualcuno ha pensato anche a forme ibride, creando dividendi di cittadinanza (come suggerito da M. Mazzucato),generati da investimenti pubblici. Un’altra alternativa per far gestire dai cittadini i beni pubblici potrebbero essere i Fondi comuni (i.e. Alaska Permanent Fund o Norwegian Oil Fund) adibiti ad amministrare risorse comuni, anche se ci sono delle differenze rispetto alla autonomia che generano. In questo senso, come dice Guy Standing, i beni comuni devono immunizzarsi dalla manipolazione dei partiti politici, e la loro cura non deve dipendere dalla transizione da un governo all’altro. L’autonomia popolare dovrebbe rimanere indipendente dalla leadership di un individuo, di un partito, per essere veicolo per l’auto-gestione.
Il paradigma dei beni comuni è essenziale per uscire dall’approccio economicista vigente, che pretende risolvere le crisi in modo puntuale. Questo paradigma deve servire pure per staccarsi dall’idea dello stato imprenditore (Mazzucato), con beneficio diretto via redistribuzione ai cittadini. Criticata come assistenzialista dai neoliberali -impedirebbe iniziativa e creatività imprenditoriali dei singoli- quest’idea toglierebbe pure la possibilità di autogestione cittadina.
Risolvere l’incompatibilità strutturale tra rappresentanza, movimenti e beni comuni
Per Ugo Mattei, tale incompatibilità può risolversi creando azionariato diffuso. La perdita del patrimonio delle firme per il referendum “acqua bene comune” ha portato a riflettere sul come mantenere migliaia di persone collegate, e da qui l’idea di generare un capitale comune attraverso la sottoscrizione di azioni,per tutelare e valorizzare i beni comuni. L’incompatibilità strutturale tra movimenti che vogliono agire insieme, cooperare per un risultato e la partecipazione alle elezioni, dove si compete per dei seggi, è chiara. All’indomani del referendum per l’acqua si tentò di creare un soggetto politico (ALBA), un insuccesso totale. La forma partito non traduce le aspirazioni dei movimenti. Questi, fondati sulla cooperazione, i partiti,su leadership e competizione: due comportamenti contraddittori. Con la cooperativa Generazioni Future si tenta di superare l’impasse creato dai modelli competitivi, corrispondenti alla visione della modernità, del neoliberismo.
La specificità mediterranea
Nonostante il Mediterraneo, Mare Nostrum, abbia un significato profondo nella storia Europea, e sia un punto di collegamento tra Europa e Africa del Nord, le costruzioni di questo contesto sono state abbandonate dalla Commissione Europea, la cui struttura è sbilanciata verso Nord. Una visione incapace di porre i paesi del Sud alla pari. Essa non ritiene che questi possano governare le dialettiche della globalizzazione, la competizione nei mercati globali. È indispensabile dunque capire se l’Europa sia parte del problema o della soluzione. Intendere il Mediterraneo come bene comune è indispensabile a costituire una visione di medio-lungo periodo. Questo orizzonte è l’unico capace di contrastare la visione odierna che permette al neoliberalismo di trovare un supporto costitutivo nelle istituzioni europee.
La specificità italiana
Per (diritto all’oblio), le peculiarità italiane vanno lette sia nel lungo periodo che nella contingenza, tanto per quel che riguarda la politica istituzionale che i movimenti. Nel lungo periodo, la delegittimazione della politica istituzionale è emersa con le indagini di mani pulite nel 1992, che hanno evidenziato un processo di corruzione che aveva caratterizzato i decenni precedenti, permeando il sistema dei partiti. Questo ha creato una grande differenza rispetto al resto del Mediterraneo. Nessun giovane voleva più occuparsi di politica. L’attenzione era più verso il volontariato che verso la politica rappresentativa. Inoltre, a differenza di Podemos e Syriza, i movimenti italiani non hanno trovato lo spazio per interagire con la politica, con i partiti. Un’altra caratteristica è la cultura comunista della società civile che ha a volte permesso di costruire alleanze progressiste, però con scarsa autonomia dai partiti. Questo mostra le due facce della medaglia di un partito relegato all’opposizione, che crea società civile ma senza autonomia nel lungo periodo. La contingenza del 2011 spiega inoltre il perché in Italia non ci sia stato un ritorno della sinistra al potere e l’assenza di movimento (a differenza de Los Indignados, El 15 de Mayo, etc.): il governo Monti, accettato a sinistra perché ci liberava da Berlusconi, era un governo di ‘grande coalizione’ (o grande ammucchiata) che -sotto apparenza tecnica- in realtà metteva insieme partiti di centro-destra e di centro-sinistra,esattamente come quello di Draghi adesso. Questa situazione ha reso quindi più difficile per i movimenti identificare dei potenziali alleati all’interno della politica rappresentativa e spingendoli a costruire una possibile alternativa al suo esterno. Se guardiamo al 2011, la manifestazione anti-austerity del 15/10/2011che avrebbe potuto rappresentare un momento di coagulo, rivela piuttosto le divisioni che c’erano all’interno del movimento stesso.
A proposito delle potenzialità di sviluppo, dal movimento dell’acqua si possono però trarre degli insegnamenti su cosa fare e su cosa puntare l’attenzione, ma c’è bisogno di aggiornamento, in particolare sul modo di creare convergenza nella diversità. È vero che ci sono tensioni nei rapporti tra movimenti e partiti, ma queste hanno permesso momenti di alleanza. Tutta la storia del movimento operaio è una storia di partiti e movimenti. Partiti che diventano più moderati, movimenti che li riportano sulla loro strada originaria. La tensione c’è, ma questo non si traduce in impossibilità di rappresentanza istituzionale per i movimenti. Quando c’è una alleanza, questo permette di innovare a livello istituzionale, come hanno mostrato le esperienze di governo, da Ada Colau a Syriza.
Rinominare il mondo, per ricominciare
Per Nichi Vendola, di fronte alla resa davanti al pensiero unico, al suo dominio incontrastato, la domanda è “che fare, da dove ricominciare?”. L’anomalia italiana si è rovesciata. In un paese che rappresentava il punto più avanzato delle culture di alternativa e di penetrazione del vocabolario della sinistra in larghi strati della popolazione, del popolo, la più grande sinistra dell’occidente si è letteralmente evaporata. Oggi, l’anomalia è all’incontrario: l’Italia è il paese con la sinistra più debole e rarefatta, visibile soltanto per chi adopera la lente di ingrandimento. Questo ha che fare, dopo lo scioglimento del partito comunista italiano, con l’ansia governista di chi si definiva come una nuova sinistra, che metteva al centro non i problemi dei produttori e della produzione, ma quella del “consumo intelligente”. Guardava alla cittadinanza tagliandone le radici sociali, come un galleggiamento nella superficie della società civile. Questa dimensione, sommata alla sindrome di legittimazione governativa, che ha ridotto il tema gigantesco, teorico e pratico, dell’alternativa politica a quello dell’alternanza, è il punto vero della falsificazione dell’idea, della passione e della ragione sociale della sinistra. Perché la sinistra o è la critica dell’esistente e l’immaginazione di un’altra organizzazione sociale non subordinata al dominio del mercato, oppure è una specie di paradigma d’adattamento per temperare le spigolosità o la ferocia del mondo in cui viviamo. Questo implica la perdita progressiva di visione futura e di padronanza critica del passato. Sebbene questa riflessione ci introduce al perché ci troviamo in questo deserto, la questione è che fare? Nel momento della disperazione, abbiamo con altri compagni deciso di sottoscrivere una fideiussione per comperare una nave per attraversare il Mediterraneo (la cui sparizione dalle antenne dell’Europa è una delle ragioni fondamentali della sua crisi interna). Per poter rimanere umani, come un’alternativa pratica a chi costruisce sulla disumanità il proprio consenso, la cifra del proprio insediamento. L’azionariato diffuso, i movimenti, la necessità di fare massa critica, di cogliere le contraddizioni, questo va benissimo, ma il nostro che fare ha quasi bisogno di una evocazione biblica. Noi abbiamo bisogno di rinominare il mondo. Non ignorare più la miseria del riformismo. Questo ha spento passioni popolari per la trasformazione, in qualche modo cedute alla retorica populista e sovranista. Senza tornare a ragionare sul rapporto tra offerta politica e domanda di politica nella scuola, mondo del lavoro, quotidianità, vita domestica, la sinistra non ha futuro.
Due cautele. La prima: attenzione a evocare la democrazia diretta, mettendola in un cielo d’astrattezza; essa è anche l’invocazione del popolo che grida “crocefiggilo, crocefiggilo” (come dice Zagrebelsky). Abbiamo invece necessità di costituire la rete dei pensieri critici, capaci di dare alla democrazia che si organizza una sostanza, perché la democrazia diretta, in una situazione in cui i costruttori dell’immaginario, i media, sono oligopoli, può diventare la richiesta della pena di morte, della cacciata dell’emigrato, etc., se non inseriamo un sapere alternativo, che non sia elitario, ma capace di connessione sentimentale con un popolo. Un popolo non esiste, è sempre un’invenzione. La sinistra ha smesso di inventarsi un popolo, contribuendo alla sua propria dannazione. La seconda: i movimenti sociali e i partiti devono nutrirsi della reciproca autonomia, senza che questo significhi teorizzare l’autonomia del politico e del sociale. E un bene che i movimenti sociali non abbiamo d’immediato l’istinto di trasformarsi in partiti. Il problema è trasformare i partiti, renderli capaci di una interlocuzione reale, non burocratica. Un movimento studentesco non ha bisogno della pacca sulla spalla dai partiti di sinistra. Necessita di rompere la concezione aziendalistica degli apparati di formazione, il paternalismo autoritario della nostra società, di interloquire sul diritto alla vita, al futuro, al buon lavoro.
Le potenzialità della democrazia diretta: i referendum
Per (diritto all’oblio), i referendum vanno pensati non solo come momenti in cui si vota, ma anche e soprattutto come momenti di dibattito nel corso delle campagne referendarie. Nei referendum dal basso, proposti da movimenti o ai quali i movimenti hanno partecipato in modo massiccio, l’importante è statala capacità di aumentare la qualità del momento partecipativo. La democrazia diretta può creare delle tensioni rispetto alle logiche deliberative, di dibattito, proposta e consenso, proprie dei movimenti come quelli della giustizia globale. I referendum presentano dei rischi per una cultura democratica partecipativa, perché hanno implicita la logica maggioritaria, dove interessi costituiti possono dominare. Come nei processi elettorali, contano i soldi, i finanziamenti, il controllo dei media. Il dibattito può essere di bassa qualità. Brexit è l’esempio di una decisione pressa sulla base di fake-news piuttosto che di conoscenza. Essi possono polarizzare il dibattito con conseguenze negative anche all’interno dei movimenti stessi. Come per le elezioni, i partiti e tutti i processi istituzionali, possono essere di buona o di cattiva qualità. Le critiche ai referendum possono applicarsi comunque anche alle elezioni, che seguono la stessa procedura, e che possono portare anche alla elezione di partiti poco democratici.
Il referendum sull’acqua ha ridotto quei rischi e prodotto effetti positivi, almeno fino al momento della decisione e forse dopo; alcuni di questi effetti li vediamo tuttora. Nonostante la vittoria, il suo momento chiave non è stato il voto, ma il processo. I comitati locali hanno portato una partecipazione significativa in un contesto nel quale i media erano inaccessibili ei partiti ostili, compresi quelli di centro sinistra. Essendo molti decentrati, radicati sul territorio, all’interno dei quali c’erano anche posizioni partitiche, di politici locali di differente provenienza, i comitati hanno avuto la capacità di creare arene di dibattito lungo il processo della campagna referendaria. Essi hanno dimostrato la capacità di immaginare spazi innovativi, in cui cittadini,con poca esperienza politica e nessun sostegno organizzativo, hanno sviluppato iniziative di promozione della lotta alla privatizzazione, utilizzando in modo efficace il web. Quindi, pur riconoscendo il rischio di plebiscitarismo, i referendum hanno una portata di rottura perché riconoscono la capacità di partecipazione e di riflessione dei cittadini. Non sempre questo funziona, dipendendo comunque dalla capacità di creare arene di incontro, ma nel caso dell’acqua il potenziale deliberativo è stato attuato, bilanciando il rischio di una democrazia diretta ridotta a una risposta sì o no.
Assicurare il successo di vertenze referenziali
La democrazia diretta è spesso concepita come decisione. Organizzarla dal basso implica fare attenzione al processo, che spesso conta più del risultato. Il referendum amplifica l’attenzione su un tema, che è discusso aldilà delle strutture precostituite. Come nel caso dell’acqua, le condizioni del successo sono: la mobilitazione dei movimenti, l’abbinamento ad una campagna d’azione (di protesta, di massa, cortei, ma pure di raccolta di conoscenze alternative, d’importanza fondamentale), la prefigurazione e la sperimentazione di economie alternative e la circolazione di idee nuove, come i beni comuni (strutturata dalla Commissione Rodotà, da Ugo Mattei e altri). Quindi, la campagna referendaria dell’acqua è riuscita a creare un bilanciamento tra la riflessione su valori più ampi e la creazione di una vertenza, coagulando le capacità di coordinamento e di cooperazione dei tanti che avevano un interesse comune. Ha avuto infatti la capacità di dare all’elemento vertenziale un alto valore simbolico (l’acqua come origine della vita, simbolo di resistenza). Il problema è venuto quando i partiti politici che non l’avevano appoggiato (come il Partito Democratico, hanno fatto finta di sostenerlo, ma poi l’hanno ostacolato (incluso il governo Monti), impedendo che il movimento continuasse una convinta lotta contro la privatizzazione. Cosa può equipararsi oggi al tema dell’acqua?Il Mediterraneo, è stato detto, ma anzitutto salute e vaccini, come beni comuni, rinchiudono una capacità di costruire vertenza, eppure di ampliare la costruzione di alleanze. Questo si può collegare all’idea di caring class, connessa all’idea de cura, che i movimenti sviluppano. Il presente è difficile, ma guardando ai movimenti, prima del lock-down ma pure ora, si scopre della effervescenza. Si tratterà di vedere come evolve, ma l’ottimismo rimane.
Il rischio dell’accelerazione digitale: creare massa critica senza capacità di consolidare
Per (diritto all’oblio), con i media digitali, i movimenti arrivano sempre più rapidamente a organizzare grandi manifestazioni, ma più difficilmente a consolidare strutture e organizzazioni. Si tratta più di campagne che di movimenti. Facebook e Twitter facilitano l’azione connessa, le connessioni interindividuali, ma si costruisce meno rete rispetto al passato, come osservato da studiosi dei movimenti anti-austerity. Data la capacità d’intervento diretto del cittadino, l’intermediazione sparisce, al contrario che nel caso del movimento giustizia globale,che utilizzava pagine city-web gestite da organizzazioni. Riguardo al consolidamento di valori radicati nella vita quotidiana, i movimenti per una giustizia climatica, come Fridays for Future, trasformano la protesta in partecipazione quotidiana anche attraverso un cambiamento nei comportamenti (non sprecare l’acqua, praticare la solidarietà).
Questo approccio acquisisce sempre più sostegno, in particolare tra le giovani generazioni. Col referendum sull’acqua,la capacità di combinare giustizia sociale con accesso all’acqua era un filone forte della narrazione, indebolita però dalla scarsa capacità di mantenere collegate le persone.
Evitare la privatizzazione dei beni pubblici, una lotta estenuante
Nichi Vendola ha illustrato tale lotta con l’esempio dell’acquedotto pugliese (AP)[13]. Essendo stato costruito nel corso di due secoli di dibattito, sulla Puglia Morta di Sete, questa infrastruttura civica, la più grande della storia d’Italia, ha coinvolto una buona parte della cultura nazionale, delle classi dirigenti. Ad un certo punto della storia, inizia a girare il “buon senso” di privatizzarlo. Sulla più grande azienda pubblica del Sud d’Italia si costruisce una campagna fondata dall’inizio su una menzogna clamorosa: la cessione al privato darà luogo a logiche concorrenziali, quando si tratta del passaggio dal monopolio pubblico a quello privato. E questo senza domandarsi perché il monopolista privato dovrebbe investire nelle tecnologie di depurazione, nei laboratori complessi per l’analisi, etc.[14]. Dal 2005, avendo vinto le elezioni[15], la vittoria fu dedicata alla salvaguarda del carattere pubblico dell’AP. Fui relatore di un parere di prospettiva sulle risorse idriche, votato all’unanimità dal Comitato delle Regioni. In questo si domandava d’introdurre il criterio “chi spreca paga”, oltre a chi inquina paga;trasformare l’Osservatorio Europeo sulla Siccità in Osservatorio idrico Europeo considerando l’integrità del ciclo dell’acqua e l’organizzazione dei bacini idrografici. Dopo il referendum, la pubblicizzazione dell’AP fu pensata come un processo di trasformazione. Dal 2004-5 la struttura viveva una crisi acuta, avendo perso qualsiasi capacità di progettazione e di manutenzioni. Non si faceva da 30 anni l’appalto straordinario sulla ricerca delle perdite[16]. I vecchi fontanieri andati in pensione non erano stati sostituiti dal telecontrollo. Per un’azione idraulica sbagliata, Taranto restò senza acqua sette giorni. Pezzi interi di territorio (Salento e Foggia) avevano problemi d’approvvigionamento idrico. Ottimizzare il funzionamento della rete, ricostruire lo spirito aziendale, per rendere il carattere pubblico dell’AP non era una fisima di un ristretto circolo di élite, ma un cambio che coinvolgeva gli utenti, i cittadini. Il giorno dopo la vittoria del referendum sull’acqua,il Consiglio Regionale varò la Legge sulla Pubblicizzazione dell’AP. Questo non si poteva fare perché esse era stato ceduto dallo Stato (essendo proprietà del Ministero del Tesoro) alla Regione per privatizzarlo. Nella retrobottega della politica si vedeva l’ombra di grandi interessi internazionali, trattandosi della azienda più grande del Sud d’Italia. La privatizzazione è stata bloccata. Il futuro dipenderà dal governo Draghi: la scadenza è 2024 per decidere sull’AP. Alla fine della mia esperienza di governo si tentò che i Municipi diventassero azionisti dell’azienda. Il rapporto con i cittadini sarebbe così mediato non da un comitato di gestione pubblica, sostituto del vecchio consiglio d’amministrazione, ma dall’azionariato comunale. E questo, contro l’idea di acque pubbliche e reti private, inventata anche dalla sinistra.
Una lezione personale e il bisogno dell’autocritica
A titolo personale, ero il governatore di una maggioranza nella quale la mia cultura politica, includendo il rifiuto del totem della privatizzazione dei servizi pubblici locali, era in minoranza. E questo non solo rispetto alla destra,perché le privatizzazioni sono il terreno sul quale una parte della sinistra gioca la propria idea di modernità: per emanciparci dal vecchiume novecentesco ci si accomodava con i privatizzatori. Questo faceva dell’AP una battaglia cruciale. Una riflessione autocritica deve essere fatta dal Movimento Acqua Pubblica. Sebbene le firme per il referendum siano state numerose, e i cittadini abbiano inventato col voto referendario un popolo dei beni comuni, che appariva come un popolo maggioritario, un certo settarismo del Movimento ha indebolito la sinistra. Quando si crea un rapporto forte con diverse culture e aree che si ritrovano in un orizzonte comune, si deve lavorare per tenere questa latitudine nella richiesta di cambiamento, piuttosto che restringerla a una domanda di piccole avanguardie.
Alcune considerazioni finali
Il potenziale trasformativo dell’art 43 della Costituzione
Per Ugo Mattei, i beni comuni devono fare oggetto di dialogo fra diversi. La differenza tra un partito tradizionale, nel quale si cerca una cultura comune tra chi già condividi una ideologia, e il referendum sull’acqua, è il dialogo fra diversi. Tra quelli che pensavano che l’acqua dovesse essere governata come bene comune, nell’interesse delle generazioni future. Questo sentire comune andava tradotto in istituzioni, alla luce dell’art 43 della Costituzione[17]. Organizzazioni di lavoratori-utenti capaci di costituire un’organizzazione politica, una specie di nuovo costituzionalismo di beni comuni, adatti a incidere sul tessuto sociale. Questo manca. Come costruire apparati istituzionali atti a governare ciò che abbiamo di più essenziale:risorse e infrastrutture d’Italia, alla luce del art. 43? Qui si trova la prospettiva per costruire il lascito per le generazioni future. La Costituzione indica come si possa fare questo a diritto invariato, opposto alla politica istituzionale che Draghi rappresenta.
Attenzione al green-washing e ai nuovi bisogni di tutela
Per Mosè Vernetti, i beni comuni hanno un ruolo nella democratizzazione della transizione ecologica. Prendendo come esempio il centro commerciale Green Pea a Torino, promosso come emblema della rivoluzione verde imprenditoriale, si scopre come l’ambientalismo aziendalista sia fuorviante e la manovra di green-washing sostenuta dallo stato e dai partiti. Il proprietario (Farinetti) racconta la storia del consumo consapevole. I cittadini spoliticizzati che diventano consumatori consapevoli. Non è che km0 non abbia importanza, ma l’azione che gli individui devono compiere per una vera rivoluzione ecologica è più complessa. Per la transizione ecologica, la questione dei beni comuni va analizzata in modo intersezionale. La giustizia ambientale non esiste da sola, come la giustizia sociale. Nella rivendicazione per l’ambiente c’è per forza un elemento di sociale, riguardante lo sfruttamento sul quale si erige anche il capitalismo verde. Green Pea, inganna, rimanda a Green Peace. La crescita verde, trainata dai governi, servili in confronto del capitale, è un ossimoro. Propone un paradigma di cambiamento applicando gli stessi parametri del nostro malessere, cioè la crescita economica, influenzata dalla feticizzazione dell’imprenditoria di mercato, connessa all’aumento nell’uso delle risorse naturali. I partiti, pure per servilismo, non possono capire l’ambientalismo come giustizia e diritti sociali nei processi di trasformazione, sia urbanistica che produttiva.
La mobilitazione per la transizione ecologica è cruciale aldilà del dualismo destra-sinistra che rispetto a temi ambientali è riduttivo. C’è bisogno di elaborazioni comuni rispetto al futuro delle qualità ambientali che determinano quella della nostra vita. In termini di emancipazione e diritti, il dibattito sulla transizione ecologica va centrato sulla democratizzazione della gestione dell’ambiente e dell’economia.
Inoltre, essere nel XXI secolo senza reale tutela dei nostri dati è come entrare nel XX secolo senza diritti contro lo sfruttamento minorile, senza paga minima: rivendicazioni che hanno determinato le condizioni dei lavoratori nei decenni a seguire. Il ruolo dei beni comuni nella gestione dei dati e dei giganti digitali è indispensabile e merita una risposta radicale.
L’importanza delle istituzioni
Per (diritto all’oblio) il pessimismo sulla politica istituzionale va bilanciato con l’ottimismo che viene dalla comparazione con altri paesi, soprattutto del Sud Europa ma anche del Sud del mondo. Dai movimenti si impara che ci sono strade per utilizzare canali istituzionali governativi o parlamentari, oltre i referendum. In Irlanda, dai movimenti anti-austerity si è andato verso delle proposte di referendum e vittorie progressiste su temi prima intoccabili in un paese profondamente cattolico (dal matrimonio tra persone dello stesso sesso all’aborto). Anche lì si sono ottenute trasformazioni nei partiti politici, creando un’opposizione, ma cambiando anche i canali di decisione. Anche in Italia, le esperienze d’interattività costituiscono elementi di processo che rimangono radicati nella cultura dei movimenti sociali.
Restare solidali nei percorsi di conoscenza e d’azione
Per Nichi Vendola, si deve ragionare sulle reti da costruire tra chi non intende consegnarsi alla normalizzazione che fa paura. Per combatterla bisogna essere solidali nei percorsi di conoscenza. Provando a riflettere insieme, si contrasta la paura.
Finalmente, un partecipante ha ricordato che il decennale del referendum, acqua bene comune, s’avvicina e che il 22/3 è la giornata dell’acqua. In un momento dove l’acqua è stata quotata in borsa, è indispensabile aggregare tutte le forze vive.
Gilda Farrell
[1] https://ricerca.repubblica.it/repubblica/archivio/repubblica/2015/07/27/la-lunga-marcia-dei-neoliberali-per-governare-il-mondo32.html
[2] Nello stesso anno viene firmata negli Stati Uniti la Taft Hartley Act, distruggendo il potere sindacale.
[3] https://www.ildubbio.news/2018/08/22/estate-92-la-crociera-sul-britannia-voluta-da-sua-maesta-che-privatizzo-litalia/
[4] http://www.elzeviro.eu/lelzeviro/draghi-sul-britannia-il-discorso-dellinizio-della-dine-dellitalia.html
[5] https://www.rai.it/ufficiostampa/assets/template/us-articolo.html?ssiPath=/articoli/2021/01/Rai-3-presenta-La-dannazione-della-sinistra-Cronache-di-una-scissione-984c778e-a60b-4ea5-9000-6b6172a6566e-ssi.html
[6] Lo scientismo è descritto da Devoto Oli come quel «movimento intellettuale sorto nell’ambito del positivismo francese (seconda metà del XIX secolo), tendente ad attribuire alle scienze fisiche e sperimentali e ai loro metodi, la capacità di soddisfare tutti i problemi e i bisogni dell’uomo». Il vocabolo assume spesso un’accezione negativa «per indicare l’indebita estensione di metodi scientifici validi nell’ambito di scienze particolari (come quelle naturali) ai più diversi aspetti della realtà, con pretese di conoscenza altrettanto rigorosa», vedere: https://it.wikipedia.org/wiki/Scientismo.
[7] Boltanski, L., Chiapello E., Le nouvel esprit du capitalisme, Gallimard, Paris 1999.
[8] https://it.wikipedia.org/wiki/Movimento_no-global
[9] Mara Carfagna al Sud dove prima c’era Provenzano, Barca, persone competenti. Perfino il governo Monti conteneva tecnicità più elevate. I democristiani sono di più che nel pentapartito degli anni 70.
[10] Federici, Silvia, Genere e Capitale: Per una lettura femminista di Marx, Derive Approdi, 2020
[11] Chi è proprietario di Londra: https://www.propertyweek.com/data/who-owns-london/5088280.article
[12] Per chi volesse approfondire sul Libro Verde: https://fr.wikipedia.org/wiki/Le_Livre_vert; https://it.wikipedia.org/wiki/Libro_Verde_(Mu%27ammar_Gheddafi)Nei tre volumi del Libro Verde Gheddafi pose le basi della sua teoria personale. Essi s’intitolano rispettivamente: La soluzione al problema della democrazia (1975); La soluzione del problema economico (1977) e I fondamenti sociali della terza teoria universale (1979). Nel primo, Gheddafi affronta il problema della democrazia, che considera corrotta nella sua forma rappresentativa. Per lui elezioni, referendum e partiti portano a snaturare l’espressione della volontà popolare e ad usurpare la sua sovranità: “democrazia significa potere del popolo e non potere di un sostituto”; è quindi necessario “combattere la rivoluzione popolare per eliminare questi strumenti di monopolizzazione della democrazia e della sovranità che sono le assemblee parlamentari”. Egli propone “un’esperienza realistica di democrazia diretta” e il governo attraverso congressi e comitati popolari che assicurino la rappresentanza diretta della volontà popolare. Per Gheddafi, questa concezione della democrazia è l’unica valida e “non c’è assolutamente nessun’altra concezione di una vera società democratica”. Egli non affronta, tuttavia, alcuni aspetti cruciali come il ruolo del denaro o l’uso della violenza da parte del governo. Il primo volume si chiude con una frase contraddittoria: “Questa è la vera democrazia dal punto di vista teorico, ma in pratica sono sempre i più forti che governano”
[13] L’acquedotto pugliese è il più grande non solo d’Italia e d’Europa, ma del mondo, con una rete di 22500 km, con un circuito di 185 depuratori tra i più moderni al mondo, date le caratteristiche orografiche della Puglia. https://www.aqp.it/perche-acquedotto/la-storia
[14] Esperienze più piccole di privatizzazione (Nola, in Campagna e Arezzo in Toscana) mostrano che i privati inseguendo soltanto il profitto non vivono nell’ansia di garantire il diritto di tutti e la sicurezza dei cittadini.
[15] Nichi Vendola è stato presidente della Regione Puglia dal 2005 al 2015.
[16] Il movimento tellurico produce ogni giorno migliaia di microfratture che rendono le manutenzioni indispensabili.
[17] Art. 43: “A fini di utilità generale la legge può riservare originariamente o trasferire, mediante espropriazione e salvo indennizzo, allo Stato, ad enti pubblici o a comunità di lavoratori o di utenti determinate imprese o categorie di imprese, che si riferiscano a servizi pubblici essenziali o a fonti di energia o a situazioni di monopolio ed abbiano carattere di preminente interesse generale”.