di Ugo Mattei
Una ventina d’anni fa fui invitato a Whashington DC per partecipare alla redazione del World Development Report, della Banca Mondiale, il più importante documento che ogni anno quell’ istituzione produce per poi imporne le soluzioni, attraverso la concessione di debito condizionato, ai paesi del Sud globale. Il tema dell’ epoca era niente meno che la “riforma” del diritto!
Per antico mio costume, accetto ogni occasione di discussione istituzionale, sicché partecipai di buon grado a qualche giorno di lavoro a Whashington D.C. anche perché vi fui trasportato in prima classe e alloggiato al Watergate. Scoprii così di essere l’ unico giurista presente nel consesso di una trentina di partecipanti, tutti economisti e qualche poilitologo, taluno dei quali premio Nobel. Avevo pubblicato nel lontano 1997, negli Stati Uniti, un libro sull’ analisi economica comparata delle istituzioni giuridiche (Comparative Law and Economics, University of Michigan Press) che voleva essere una critica al mainstream e che invece fu rapidamente cooptato. Quel “prestigioso” invito ne era la prova.
Rientrai da DC sicuro che non mi avrebbero più invitato (cosa che puntualmente successe!) anche perché articolai piuttosto vocalmente il mio pensiero di fronte a una grettezza e a una rozzezza intellettuale del mainstream economico che mi fa ancor oggi impressione. Il diritto nella visione di questi signori introduce dei “costi transattivi” al libero dispiegarsi delle forze di mercato. Per renderlo efficiente occorre minimizzare questi costi per farlo diventare amico del mercato “market friendly” (in una parola, più lo togli di mezzo meglio è).
Questa logica neoliberale viene imposta col debito condizionato a “fare le riforme” ossia a togliere di mezzo il diritto e i diritti che impediscono ai creditori (per lo pù banche) di soddisfarsi nel caso in cui qualche debitore (di regola consumatori o piccoli soggetti economici o ancora inquilini) non possa pagare. A questo fine la WB raccomandava ai paesi debitori sopratutto la riforma della procedura civile e della legge fallimentare (proprio su queste è al lavoro Cartabia) . Poiché l’ idea neoliberale è che il settore privato funzioni per definizione meglio di quello pubblico, anche quest’ ultimo andava efficientato attraverso riforme del diritto pubblico e della pubblica amministrazione che vanno entrambi resi a loro volta market friendly. Ciò ovviamente doveva succedere attraverso l’ esternalizzazione competitiva dei servizi pubblici (su questo invece è al lavoro, non da oggi, Brunetta).
La Banca Mondiale invocava l’ efficienza del mercato finanziario come stella polare giustificatrice di questo piano di ristrutturazione, e la governance delle società di capitale come modello efficiente per il settore pubblico (ricordate Internet, Inglese, Inpresa del Cavaliere?) perché all’ epoca, ancora relativamente fresco il ricordo del Muro di Berlino, la finanza godeva di assai buona stampa.
Oggi il PNRR, Piano nazionale di Ripresa e Resilienza è, per l’ Italia, ciò che fu per Cile, Bolivia, Polonia, Mongolia, e tanti altri paesi “assistiti” dalla banca Mondiale l’ aggiustamento strutturale del Whashington Consensus. Nulla è cambiato se non la retorica e una spazzolata di green. Siamo al Bruxelles Consensus.
E’ interessante che si invochi la resilienza, concetto mutuato dall’ ecologia, oggi a sua volta (come le riforme economiche) oggetto di “cooptazione” o meglio, per dirla con Gui Debord, di detournement in una società dello spettacolo, quella del Covid 19, fondata sulla menzogna universalizzata e la falsità indiscutibile. Così come la Banca Mondiale per riforma del diritto intende la legge del più forte e la cancellazione dei diritti, oggi Bruxelles con resilienza intende il rafforzamento del capitalismo cognitivo, del “progresso” tecnologico e della sorveglianza generalizzata, principali cause dell’ incubo ecologico e politico che stiamo vivendo.
Ho studiato il nobile concetto di resilienza (che oggi, proprio come riforme, mi sembra una parolaccia: vedi il mio, Controriforme, Einaudi, 2013) per un libro che pubblicai nel 2015 con il fisico ed ecologista Fritjof Capra, l’ Ecologia del diritto (tr. It Aboca 2017). Resilienza è adattamento di un ecosistema alle condizioni materiali concrete, sua capacià mimetica, suoi tempi lunghi di comprensione sistemica e adattamento a un problema, sua permeabilità, mutabilità, pluralismo, lentezza. Un sistema resiliente si fa bastare ciò che ha, adatta i suoi bisogni alle contingenze perseguendovi un obiettivo immanente e di lungo periodo che sta nella sopravvivenza della specie in simbiosi con altre. Un sistema resiliente non si indebita per crescere e per continuare a costruire la Torre di <abele!
La resilienza in politica è ciò che ci consente da decenni ormai di sopravvivere all’ arroganza e al delirio di onnipotenza di una piccola oligarchia politica ed economica incolta e senza idee, adulata da un coro di servitori mediatici. Nulla a che vedere con l’uso che di questo termine fa oggi il PNRR in cui esso è cooptato, come tanti altri, a beneficio unico del continuo accumulo di capitale ai danni dei beni comuni e delle generazioni future (a loro volta cooptate nell’ inglese next generation).
Il PNRR va denunciato per quello che è. Un nuovo terribile debito volto a strutturare in modo sempre più irreversibile il capitalismo della sorveglianza. Una orribile mistificazione, presentata come il paese dei balocchi e che molto presto farà risvegliare con le orecchie d’ asino quanti, fra i semplici in buona fede, credono si tratti di una opportunità unica di conversione ecologica e al contempo di crescita economica (vedi il libro di Fiammetta Salmoni, Recovery Fund. Condizionalita’ e debito pubblico, Giappichelli, 2021) . Allora Mangiafuoco da suadente imbonitore si trasformerà in terribile Cerbero per tutti.
La mistificazione è spaventosa anche a tacere delle cifre gonfiate, dell’ incoraggiamento a bulimici libri dei sogni in cui politicanti senza merito buttano i desideri delle loro clientele….. Le riforme chiamate “orizzontali” quelle di Giustizia e PA, sono invece concentrazioni verticali di potere e di controllo. Le misure “abilitanti” per garantire l’ impatto dell’ investimento, impongono invece concorrenza (fasulla come noto nei monopoli) e “semplificazione normativa” il che significa mano libera al capitalismo estrattivo e certo non deburocratizzazione a favore dei più deboli. Lo stesso concetto è ripreso dalle “riforme settoriali”, che specificano politiche neoliberali quali il nuovo tentativo a dieci anni di distanza di disfarsi dei risultati del referendum del 2011 che difese acqua e beni comuni.
Non c’è proprio nulla da salvare in questa impostazione truffaldina e culturalmente fallimentare, che imporrà ai poveri le conseguenze del delirio di onnipotenza dei ricchi. Non vale forse neppure la pena di analizzarla politica per politica al fine di denunciarne cifre strampalate e buttate li a caso. In questa fase serve farne comprendere la cifra politica per poter costruire una altermativa che ne unisca le vittime rifiutandone la divisione strumentale in opposte tifoserie (tipo “scientisti” contro “No vax”).
Significativamente nella prima mission (ovviamente il PNRR è in “anglitaliano” di perfetta natura bocconiana) troviamo insieme: digitalizzazione, innovazione, competitività e cultura. Come se quest’ultima non fosse proprio ciò che, in un piano di resilienza serio, dovrebbe resistere alle prime tre. Per scardinare la cultura (in senso lato) dall’ abbraccio micidiale con i tre valori della prima mission, ci siamo attivati trasformando il Comitato Rodotà nella prima cooperativa intergenerazionale ad azionariato popolare diffuso, Generazioni Future (www.generazionifuture.org) . Serve costruire subito una soggettività critica comune, che unisca istituzionalmente adesso tutti quanti nel presente e nel futuro sono le vittime di questa spettacolare impostura. Dobbiamo dotare i beni comuni e le generazioni future di una seria organizzazione olistica, politica, giuridica ed economica capace di resilienza autentica rispetto alle soperchierie di un capitale sempre più concentrato nell’ eterno presente. Per chi vuole ripristinare la forza della ragione sulla ragione della forza partecipare a Generazioni Future mi pare sia la sola alternativa istituzionalmente concreta diversa dal latrare alla luna, in qualche partitino di vera o finta opposizione, di destra come di sinistra. Solo in una nuova strutturazione culturale intellettualmente libera da contrapposizioni del costituzionalismo borghese (oggi pura ideologia del divide et impera) può nascere la nuova lotta di classe. Il popolo contro le oligarchie, la resilienza nei confronti del PNRR.