Articolo di Marina Calamo Specchia, Alberto Lucarelli e Fiammetta Salmoni – su AIC, la rivista dell’Associazione Italiana dei Costituzionalisti

Il lavoro ha l’obiettivo di verificare la sostenibilità costituzionale di un complesso di norme ed atti amministrativi che hanno innovato il nostro ordinamento giuridico per la gestione della pandemia da Covid-19, a partire dalla prima dichiarazione dello stato d’emergenza in data 31 gennaio 2020. Le riflessioni si articolano a partire dall’assunto per cui il regime giuridico relativo alla gestione della pandemia deve trovare nella Costituzione il proprio fondamento ed i relativi limiti. In occasione dell’emergenza, tuttavia, le libertà fondamentali sono state limitate formalmente da norme di rango primario, ovvero dai vari decreti legge sin qui adottati, ma nella sostanza compresse dai decreti del Presidente del Consiglio dei ministri (dpcm), atti di natura amministrativa, in violazione del principio di legalità e della riserva di legge.

Sommario: 1. Prefazione: la gestione della pandemia nel perimetro costituzionale. – 2. Sulla natura
giuridica dei d.p.c.m. e loro giustiziabilità. – 3. Illegittimità conseguenziale: oggetto e filiera normativa. –
4. Le concatenazioni normative. – 5. La base normativa delle deliberazioni dichiarative dello stato
d’emergenza. – 6. Violazione del principio di legalità: segue. – 7. Violazione degli artt. 77-78 Cost.
quale unica fonte costituzionale di poteri emergenziali e dell’art. 15 della L. n. 400/1988: l’illegittimità
consequenziale dei dpcm. – 8. Ancora sulle violazioni del principio di legalità, dell’art. 23 Cost. e della
riserva di legge relativa alla limitazione dei diritti fondamentali. – 9. Violazione dei principi di
proporzionalità e ragionevolezza. – 10. Violazione degli art. 23 e 25 Cost. – 11. Scenari. – 12.
Illegittimità derivata e invalidità caducante.

1. Prefazione: la gestione della pandemia nel perimetro costituzionale
La bussola concettuale che guida il lavoro è l’obiettivo di verificare la sostenibilità costituzionale di un complesso di norme ed atti amministrativi che hanno innovato il nostro ordinamento giuridico a partire dalla prima dichiarazione dello stato d’emergenza in data 31 gennaio 2020.
Partiamo da un assunto, che sembrerebbe superfluo: il regime giuridico relativo alla gestione della pandemia deve trovare nella Costituzione il proprio fondamento ed i relativi limiti. Il perimetro della legalità dell’agire normativo statale e regionale ed amministrativo, ancor più in fase emergenziale, resta ben saldo e delineato nei principi e nelle regole poste dalla Costituzione e dalla giurisprudenza costituzionale. Con queste precisazioni, che ovviamente andremo nello specifico a definire, proveremo a configurare un governo pubblico della pandemia costituzionalmente orientato.
Pertanto, la bussola del nostro ragionamento è la Costituzione, mai come in questo momento stressata da una continua tensione tra diritti costituzionalmente garantiti e dalla ricerca, quasi agonistica, di individuare quale diritto prevalga sull’altro, sintomo di una cultura che, sempre più, ha assorbito la degenerazione patologica della competizione.
Ma, anche in una logica di prevalenza, i sistemi classici del costituzionalismo liberaldemocratico si fondano sulla teoria dei limiti1, ovvero in ossequio al principio di legalità e di riserva di legge, essi nascono soprattutto con l’intento di limitare l’esercizio del potere, soprattutto in casi di straordinarietà ed eccezionalità.
Com’è noto, lo Stato democratico, ed in particolare il modello kelseniano, fondato sulla centralità del Parlamento e, per l’appunto, sul costituzionalismo quale limite al potere, nella sapiente declinazione di fonti sulla produzione e fonti di produzione ha, sotto l’ombrello della legalità costituzionale, escluso che i fatti, ancorché emergenziali, potessero essere fontidi produzione giuridica.
Nell’ambito dei principi fondativi della legalità costituzionale, la Consulta è stata molto eloquente: «la riconduzione ad unità delle sparse, frammentarie disposizioni giuridiche, la certezza che soltanto attraverso il superamento delle varie, numerose forme fonti, sostanziali e formali, dell’Antico Regime, si potesse raggiungere, insieme, la massima garanzia della riacquistata libertà individuale ed il massimo ordinato vivere sociale condussero a ravvisare nella legge, nella legge dello Stato, quale unità organica dell’intero popolo sovrano, il nuovo principio costituzionale, il nuovo fondamento del diritto». E continua: «La riserva di legge non rappresenta quindi un formalismo, ma la garanzia che tutte le decisioni più importanti vengano prese dall’organo più rappresentativo del potere sovrano ovvero dal Parlamento».
Com’è noto, la tenuta del costituzionalismo democratico, oltre a ruotare intorno al principio della separazione dei poteri, poggia su alcuni pilastri fondativi, tra i quali una particolare importanza assumono il principio di legalità e la riserva di legge, entrambi da declinare sul piano della loro dimensione sostanziale, quale limite costituzionale invalicabile e implicito a ogni forma di esercizio di potere ultra vires.

Sulla base di tali principi, ed in senso più ampio del quadro di riferimento costituzionale, ci si domanda se lo Stato italiano avrebbe potuto fronteggiare la pandemia del Covid-19, piuttosto che con un disordinato ricorso a norme di carattere secondario, mal fondate sulla legge, riconducendo i fatti emergenziali nei principi, nelle procedure e nelle garanzie costituzionali. Il punto centrale non è limitare i diritti costituzionalmente garantiti, ma porli nel rispetto dei principi posti alla base della Costituzione. Già questo paradigma concettuale ci pone al di fuori dallo scontro tra diritti, riconducendo la questione dei limiti al rispetto di principi e regole costituzionali.
Com’è noto, l’indirizzo del nostro Costituente, per evitare svolte autoritarie, intese soprattutto quale concentrazione del potere e violazione dei diritti fondamentali dei cittadini, non è stato quello di introdurre un vero e proprio statuto “istituzionale” dell’emergenza, sul modello dell’art. 48 della Costituzione di Weimar o dell’art. 16 della Costituzione francese del 1958, sebbene quest’ultimo individui forti contrappesi istituzionali che circondano e indirizzano il centro decisionale emergenziale. Il nostro Costituente ha chiaramente fatto prevalere la scelta di prevedere e governare i fatti emergenziali con strumenti originariamente eccezionali e necessitati da particolari impreviste situazioni (i “casi straordinari di necessità e di urgenza”), anzi, quanto più è vigorosa l’eccezionalità, la straordinarietà, tanto più un sistema
democraticamente solido deve disporre di strumenti normativi per fronteggiarli. In altri termini, «la funzione normativa del Governo, nell’intenzione dei Costituenti, doveva rappresentare una rarissima eventualità».
Con l’irrompere della pandemia, si è voluto fondare uno statuto dell’emergenza ad hoc, enucleato da una fonte di rango primario, il d.lgs n. 1/20189 (strumento normativo destinato a costituire la causa giustificativa dei poteri emergenziali della protezione civile), con unfrequente ricorso al decreto legge, a sua volta posto alla base di decreti del Presidente del
Consiglio (dpcm).
In particolare, il primo dei decreti legge (n. 6/202010) costituiva una vera e propria delega in bianco a favore dei dpcm; atti amministrativi generali, che trovano il proprio fondamento giuridico nella riforma della Presidenza del Consiglio operata con la legge n. 400 del 1988.
In sostanza, libertà fondamentali riconducibili, a mero titolo esemplificativo, agli artt. 13, 16, 17, 18, 19 Cost. sarebbero state limitate formalmente da norme di rango primario, ovvero dai vari decreti legge sin qui adottati, ma nella sostanza compresse dai dpcm, atti di natura amministrativa. Ciò ha determinato la costruzione di un modello emergenziale che
pone sotto tensione sia la riserva di legge che il principio di legalità, ma in senso più ampio la centralità del parlamento.
La torsione del sistema delle fonti – ma anche della forma di governo parlamentare – è stata successivamente (a partire dal d.l. n. 19 del 2020) mitigata da quella che è stata definita la parlamentarizzazione della gestione dell’emergenza, che ha provato ad allinearla all’impianto costituzionale.

Tuttavia, ciò che ci si propone di sostenere nel presente lavoro è che il c.d. statuto dell’emergenza, al di fuori del perimetro costituzionale, ha consentito ad atti di rango secondario (dpcm), solo in parte e marginalmente riconducibili a norme generali, di interferire sulle libertà fondamentali.
Ciò, oltre ad incidere sul sistema gerarchico delle fonti e sulle categorie fondative dello Stato costituzionale liberal-democratico, ha ridimensionato il ruolo del parlamento, determinando una torsione della forma di governo parlamentare, a vantaggio di un ruolo sempre più preminente acquisito dal presidente del consiglio e dal governo nel suo complesso.
Il c.d. statuto dell’emergenza extra ordinem posto in essere, ha fortemente compresso, se non addirittura violato, quel complesso di principi, regole e garanzie che, secundum ordinem, avrebbero potuto, nel rispetto del principio di legalità e della riserva di legge, limitare le libertà fondamentali, mediante l’adozione di fonti di rango primario quali i decreti legge e i decreti legislativi.
Tali strumenti, riconducibili ad un uso adeguato dell’art. 77 Cost., sarebbero stati in grado di operare bilanciamenti tra diritti costituzionalmente garantiti, seguendo la lettura costituzionalmente orientata da ragionevolezza e proporzionalità delle limitazioni, senza cedere alla deriva del diritto tiranno.
La nostra Costituzione esprime un modello basato sulla democrazia della rappresentanza, sulla centralità dell’organo legislativo, in grado di resistere e di non cedere il passo ad un regime delle fonti extra ordinem, con conseguente strapotere delle pubbliche amministrazioni, degradando la certezza del diritto ad una permanente incertezza.
Il fatto – per quanto di natura emergenziale – non può legittimare l’adozione di una serie di atti che, come andremo a dimostrare, definiscono un procedimento normativo che si colloca extra ordinem.
La filiera normativa degli atti normativi di rango primario e secondario, seppur adottati in regime emergenziale, dovrebbe continuare a rispettare, come previsto dalla Costituzione, la riserva di legge assoluta e/o rinforzata, oltre, ovviamente, ad essere conforme al principio di legalità. Quest’ultimo si esprime nella sua dimensione, allorquando, realizza, rispetto all’atto sottostante, dei rigorosi parametri e vincoli di riferimento di natura sostanziale e procedurale.
A differenza dell’attuale governo e gestione dell’emergenza, che vede, come si è detto, lo svilimento del ruolo del Parlamento, l’art. 77 Cost. assegna all’organo legislativo un ruolo centrale: il Parlamento deve convertire il decreto-legge. Ci troviamo in presenza di atti giustiziabili dinanzi alla Corte costituzionale, sia in via incidentale che principale; il Parlamento, seppure con forme e contenuti diversi, esprime il proprio indirizzo politico, in altri termini governa l’emergenza, lasciando, come è giusto che sia, la gestione tra attività di governo ed attività di amministrazione.
In conclusione, lo stato di emergenza, o più correttamente il fenomeno emergenziale, va ricondotto nel perimetro costituzionale dei casi straordinari di necessità ed urgenza di cui all’art. 77 Cost. e delle fonti secundum ordinem, riservando ai dpcm natura di atto amministrativo meramente esecutivo, privo di capacità innovativa rispetto all’ordinamento giuridico.
Pertanto, governo e gestione dell’emergenza, in assenza di uno statuto costituzionale dell’emergenza, si snodano tra fonte sulla produzione, fonti di produzione ed atti consequenziali di natura amministrativa. Tuttavia, va ricordato che il ricorso ad una legge materiale, piuttosto che ad una legge formale, frutto di una decisione politica che trova copertura e fondamento in Costituzione, è giustificato, ma limitatamente nel tempo, dall’esistenza di «casi straordinari di necessità ed urgenza…» come previsto appunto dall’art. 77 Cost. Ciò significa che il perdurare della pandemia dovrà mutare la semantica del fenomeno: da gestione dell’emergenza si dovrà passare a governo e gestione ordinaria della pandemia.

… (continua)

 

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